I Racconti di Bianca

6 Giugno 2015

1.jpgTre extract del libro I RACCONTI DI BIANCA, scritto da Bianca Mannu, pubblicato dalla Thoth Edizioni:

Epistola con “tranche à quatre” (exstract) p. 63-64

 Irretita da certe sue battute che mi parvero intelligenti e argute, cominciai a scaldare il sogno di far coppia con lui, sulla base di interessi e curiosità comuni e così trovare possibili ruoli nel sociale. Tu, invece, tentavi di superare la depressione per vedovanza precoce e altri problemi esistenziali. Volevamo, tu e io, riprenderci la vita persa in matrimoni deludenti e poveri di riferimenti extrafamiliari. Io volevo colmare una fame di varia umanità, andare a conoscere l’altra faccia della luna non intellettualizzata che passava per autentica; tu cercavi di mettere in terapia l’aspro itinerario della vedovanza inutilmente prospera. Entrambe c’incrociavamo a percorso inoltrato, un po’ amiche e un po’ straniere. Di tutte e due, ero forse io la più marziana, e ne pagavo lo scotto frequentemente. Volevo incontrare qualcuno

Il sogno di Aba (exstract) p. 90-91

Quando Valerio, dalla cattedra dell’aula magna del liceo Dettori, aveva pronunciato quell’espressione, Aba aveva sentito intorno un alitare di arie tiepide e accendersi dentro una luce vivida e calda. E allora aveva cominciato a battere le sue piccole ali e a levitare dolcemente: panta rei, panta rei, panta rei… E la luce interiore, uscendo da lei, aveva circondato Valerio che spandeva un parlare suasivo saporoso di pane e di burro, mentre ciò che era del mondo di prima sembrava essersi “affiochito”, quasi spento. E fu così che lei, come i bambini di Hamelin, continuò a seguire la pastosa voce del suo pifferaio, finché l’opacità di lui consumò progressivamente, ogni sua luminosa pulsazione, fino alla polluzione di ogni individualità e singolarità di ruoli, fino al caos, alla paralisi del tempo, nello spazio indefinito del blackout. Ma, non si sa come, dal cuore dell’indefinibile tenebra, con uno stacco impercettibile, iniziò ad affiorare, simile ad un sussurro in ritmico crescendo, nuovo e risaputo, il logo eracliteo allacciato al cardine del tempo liberato : panta rei, panta rei, panta, panta panta rei, panta rei…Paradossibile! Logo di tempo, di voce, di voglia, di condizione, di preminenza, di efficacia, di effetto.

– Tornare! Devo. Devo tornare. Devo, devo, devo. Devo tor-na-re!- Frangenti di voce.

-Paf!- Silenzio.

 

La domenica di Marta (exstract) p. 106-107

 Così una brutta mattina, una qualunque femmina della specie homo faber-sapiens-oeconomicus-technologicus, ha come un sussulto: s’accorge persino lei – quella del pollice indice destri con pollice indice sinistri congiunti nell’ostentazione simbolica d’una perentoria liberazione – d’essere ancora soggetto/cosa, soggetto assoggettato a un regime di cose. S’avvede della colposa innocenza sottesa alla propria soggezione, nascosta persino negli atti di volontà compulsati e sottoscritti, re-impara la propria pre-destinazione. Sì, signori. Questa donna adesso riscopre “il destino maledetto e baro”, ma sa, malgrado la potenza persuasiva dei media, che  non sta scritto nelle stelle.

Divagava. Era bello darsi bel tempo nelle aie delle considerazioni generali, iscriversi al club delle generalità metafisiche, arrischiarsi in luoghi notoriamente frequentati da maschi umani, sacerdoti e chierichetti della contemplazione.

Lì. Vi erano tollerate anche donne, donne speciali, iniziate, ma specialmente morte. Altre, quelle qualunque come lei, tra un turno di lavoro e una rigovernatura, tra una pausa e l’altra dei loro cento mestieri dissimulati nel ruolo muliebre programmato sulla frequenza dell’onda post-moderna, talvolta vi si introducevano di soppiatto per razziarvi certi rotondi chiaro-scuri da tragedia classica per applicarli poi sulla loro appiattita intimità.

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