Fin dagli inizi della storia, gli uomini hanno sentito sempre il vincolo della solidarietà fra di loro. Prova ne è più di cinquemila anni di documentazione storica di ogni genere. E di quanto sia successo ancora prima, cioè nella preistoria, ci parlano i ritrovamenti archeologici con i loro oggetti e i loro manufatti. Spesso, nel mondo occidentale, si associa il concetto di democrazia, come governo del popolo, alle forme che l’organizzazione politica è venuta assumendo durante i secoli nel continente europeo. Eppure esistono e sono esistiti modi di organizzare la comunità e la vita sociale che sono radicalmente diversi da quelli che ci sono abituali, generatisi nel corso della storia di fronte alla sfida di ambienti e di problemi differenti dai nostri.
E’ il discorso della comunità umana in tutte le sue forme, il discorso dell’uomo che si riconosce nel suo simile, che ha gli stessi problemi e col quale si associa per cercare di fronteggiarli meglio. Ma non è tutto un discorso lineare e lieto. La comunità ha, sempre e in ogni caso, dei problemi contingenti, problemi che la obbligano ad una visione e ad una vocazione politica. Così la comunità si organizza e assume, di frequente, forme guerresche per tutelarsi o per offendere altre comunità. La comunità diventa allora un “fatto politico”. Politica è una parola del tutto particolare che deriva dal termine greco-antico “polis”, cioè città, per cui la politica è l’attività del cittadino, in poche parole: l’azione di ciascuno e di tutti per la salvaguardia del bene comune. Vediamo, dunque, che non si tratta di ” qualche cosa di più o di superabile” bensì di una necessità assoluta: ogni uomo, in quanto tale, è un “essere o animale politico” secondo la definizione del filosofo greco Aristotele.
La situazione, in fondo, non è molto mutata al giorno d’oggi dopo millenni di storia umana; nel senso che si pone, non meno vivo e non meno urgente, il problema di rispondere organizzativamente alle necessità e alle difficoltà della vita moderna. La risposta deve essere assolutamente politica.
Che senso ha la politica nel ventunesimo secolo? E che significato ha la vita sociale delle persone, dei cittadini? Di che cosa vive la gente, di che lavoro si mantiene, di quali idee si nutre, di che cosa si lamenta? E di quali strumenti dispone per esprimere le sue necessità, per tentare di soddisfarle, in breve, per partecipare alla vita politica?
Domande davvero impellenti e pressanti che auspicano delle risposte urgentissime da parte della politica e di chi fa politica. Forse affinché i singoli uomini assolvano, con maggior cura, il proprio dovere di coscienza verso se stessi e verso i vari gruppi politici di cui sono membri devono essere diligentemente educati ad un più ampio livello culturale della mente e dell’anima, utilizzando i molti mezzi che oggi sono a disposizione del genere umano.
Innanzitutto l’educazione dei giovani, di qualsiasi origine sociale, deve essere impostata in modo da suscitare uomini e donne di pronto intelletto e di forte personalità, come è richiesto urgentemente e assolutamente dal nostro tempo. Ma a tale senso di responsabilità l’uomo, purtroppo, giunge con difficoltà se le condizioni di vita non gli permettono di prendere coscienza della propria dignità e di rispondere al proprio mandato prodigandosi per gli altri. Infatti, la libertà umana spesso si indebolisce e si frantuma qualora l’uomo cada in estrema indigenza, come si degrada quando egli stesso, cedendo alle troppe facilità della vita (lusso sfrenato, corruzione, indifferenza e mancanza di sensibilità, illegalità, abusi di vario tipo nell’ambito della gestione pubblica ecc. ecc.), molte volte si chiude o precipita in una sorta di “solitudine aurea e perniciosa”.
Al contrario, acquista forza e sicurezza quando l’uomo accetta le difficoltà inevitabili che la vita comporta, assume le esigenze molteplici della convivenza umana e si impegna al servizio della comunità. Perciò bisogna, a tal proposito, stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte nelle imprese comuni. Fondamentale e imprescindibile è il modo di agire delle nazioni nelle quali tutti i cittadini, o almeno la maggioranza di essi, sono fatti partecipi della gestione della cosa pubblica in un clima di vera libertà (da sottolineare, con enfasi, “vera libertà”). Si deve, tuttavia, tener conto delle reali condizioni di ciascun popolo e della solidità necessaria dei poteri pubblici. Affinché poi tutti i cittadini siano aperti a partecipare alla vita dei vari gruppi politici di cui si compone il corpo sociale, è necessario che trovino, in essi, dei valori e degli ideali positivi capaci di attirarli e di disporli al servizio di tutte le persone e dei cittadini. E’ più che legittimo, credo, pensare allora che il futuro dell’Italia e di tutte le nazioni del mondo sia veramente riposto nelle mani di coloro che sono capaci di realizzare il bene comune e di trasmettere, alle generazioni future, ragioni di vita e di speranza.
Francesca Rita Rombolà
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