Ketherine Mansfield nasce in Nuova Zelanda nel 1888, ma l’entrata ufficiale nel mondo delle lettere avviene soltanto molti anni dopo a Londra quando pubblicò, nel 1911, la sua prima raccolta di racconti “In a German Pension”. Quest’opera richiamò su di lei non solo l’attenzione dei lettori ma anche quella di un illustre critico letterario dell’epoca Jhon Middleton Murry che, quattro anni dopo, diventerà suo marito. Solamente nel 1921, però, fu dato alle stampe il suo secondo volume di racconti “Bliss and Other Stories” subito seguito, nel 1922, da “The Garde Party” ultima opera ad essere pubblicata prima della sua morte precoce e tragica.
Nel 1917, infatti, Katherine Mansfield aveva contratto la tubercolosi. E questa malattia terribile, che le divora le energie e tutta la linfa vitale spingendola a cercare disperatamente la guarigione nelle riviere italiana e francese, le impedisce soprattutto di vivere la vita in maniera piena e completa come ha sempre sognato. Desiderava stare bene, voleva la salute. Scrisse nel suo diario pochi mesi prima di morire in una casa di cura a Fontainbleau, in Francia:
“Voglio la salute. Per salute intendo la possibilità di condurre una vita piena, adulta, viva, libera, completa a stretto contatto con tutto ciò che amo: la terra e le sue meraviglie, il mare, il sole…”
Eppure nei suoi racconti e nella sua opera pulsa e vibra la vita con tutti i suoi colori, i profumi, i rumori, i fruscii, i silenzi, i fiori, il mare in tempesta, il vento impetuoso, il cielo stellato nonsotante la sofferenza fisica e il profondo e intenso dolore dell’anima dovuto ai “maltrattamenti” di un destino davvero avverso e crudele (in primis l’abbandono del marito che avrebbe, invece, dovuto starle vicino nel nome della letteratura e dell’amore e la solitudine esistenziale e naturale per la mancanza di una casa e di una persona affettuosamente vicina). La natura vive con mirabile intensità nelle foglie degli alberi di manioca tremolanti nel vento oppure nella rugiada cristallina e luccicante al sole che piega, con il suo peso, i fili d’erba e gli steli dei fiori.
Ogni piccolo rumore, il mormorio di un torrente, un ramo d’albero spezzato e anche lo scricchìolìo di un mobile antico diventa come la rivelazione di un mistero immenso di una natura selvaggia e possente, quale quella della lontanissima Nuova Zelanda, che tutto avvolge e che lascia i personaggi delle sue opere spettatori stupefatti, rapiti dall’incantesimo, persi nella presa di coscienza di un qualcosa che li trascende.
Katherine Mansfield, per descrivere i suoi personaggi, penetra dentro la loro anima profonda ed essi, rivelati dai loro pensieri, dai loro gesti e dalle loro emozioni diventano creature esistenti, reali, ricche di umanità. In tutti i personaggi descritti e nelle loro storie c’è sempre, però, l’eco, seppur lontana e piuttosto latente, della vita e delle esperienze dell’autrice e non è di certo un caso che la scrittrice neozelandese basi sempre i suoi racconti su esperienze vissute in prima persona. Ma l’estro letterario di Katherine Mansfield riesce, in fondo, a superare le barriere dell’io individuale per esprimere l’universalità delle vicende umane che racconta. Nella tecnica narrativa Katherine Mansfield usa quasi sempre la terza persona singolare, però non esita a frantumare la cronologia temporale della fabula. L’intreccio, nei suoi racconti, non segue alcuna logica temporale o causale.
Perciò ci si ritrova, improvvisamente, proiettati nel passato oppure nel futuro per poi ritornare all’oggi. E allora si avverte la sensazione che il tempo, come entità fisica reale, non esista quasi più, sia diventato, invece, come l’espressione più immediata di uno stato d’animo eterno, cristallizzato nell’infinito. Quando Katherine Mansfield morì, nel 1924, aveva pubblicato solo tre raccolte di racconti, il resto venne pubblicato postumo. La sua parabola esistenziale e quella letteraria sembrano intrecciarsi per poi allontanarsi. Questa scrittrice di una terra agli antipodi del mondo ebbe un coraggio esemplare per il tempo e seppe vivere, con dignità tutta femminile e umana, un destino tragico forse segnato dal principio al quale tuttavia ella riuscì a sorridere e , in un certo senso, a fare suo.
Francesca Rita Rombolà
P. S. Per la Giornata Internazionale contra la violenza alle donne.
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