Eugène Ionesco (1909 – 1994), poeta, autore di teatro, intellettuale – contro ha stupito, sconvolto, scandalizzato, compreso, vissuto, lottato, lasciato ai posteri un messaggio forte con la sua arte.
In scena è entrato (precipitosamente) una persona razionale gridando: “Un rinoceronte in corsa sul marciapiedi di fronte!”. Questo era, in fondo, l’assurdo mondo di Eugène Ionesco.
La prima guerra mondiale non era finita da nemmeno dieci anni, un’altra sembrava sul punto di scoppiare, più terribile e più catastrofica della prima, ogni giorno emergevano dal recente passato atroci segreti, le colonie se ne andavano per la loro strada e questo comportava, in generale, spargimento di sangue. In una Parigi strana, convulsa, caotica, all’avanguardia nell’arte e nella vita, luogo infernale ma dalle infinite possibilità per ogni artista o persona generica che l’avesse scelta come propria residenza quotidiana, in un’Europa in attesa di un qualcosa di imminente (catastrofe, caduta o rinascita) si era compreso di cosa erano stati capaci gli esseri umani e, di conseguenza, di cosa sarebbero stati capaci in futuro: un rinoceronte in corsa, una danzatrice calva, un uomo con nove dita su una sola mano (elementi tutti del mondo assurdo di Eugène Ionesco) sembravano conferire una certa struttura quasi simmetrica e portante alla folle danza del mondo o, forse meglio, di una società esilarante e ormai sull’orlo di un abisso sconosciuto ma non per questo da far troppa paura, almeno non tanto da volerlo rigettare a priori.
Eugène Ionesco, ideatore di questa “nuova forma di arte”, giace nel famoso cimitero parigino di Montparnasse, che molti artisti di ogni nazionalità accoglie come loro luogo ultimo o dimora dove riposare per sempre.
Sulla sua tomba vi sono sempre dei fiori freschi di colore azzurro (il famoso fiore azzurro amato dal poeta romantico Novalis, simbolo della bellezza e della purezza dell’ arte, soprattutto della poesia), e l’alta torre di Montparnasse si erge forse proprio come una sentinella in lontananza: sentinella di una città dei morti che sembra guardare con distacco ma senza indifferenza al vicinissimo mondo dei vivi.
Un brano, molto eloquente quanto significativo, tratto da”Passato presente” di Eugène Ionesco:
“Non so troppo bene se sogno o se ricordo, se ho vissuto la mia vita o se l’ho sognata. Il ricordo, come il sogno, mi fa sentire profondamente l’irrealtà, l’evanescenza del mondo, immagine fuggitiva dell’acqua mossa, fumo colorato. Come può disperdersi ciò che sta chiuso in contorni solidi? La realtà è infinitamente fragile, precaria, tutto ciò che ho vissuto aspramente diventa triste e dolce. Voglio trattenere tutto ciò che niente può trattenere. I fantasmi. Sono un fantoccio di neve che sta sciogliendosi. Scivolo, non posso trattenermi, mi separo da me stesso. Sono sempre più lontano, un profilo e poi un puntino nero. Il mondo gelerà. Un’ insensibilità polare ha già cominciato a stendersi sopra di noi. E poi ci sarà un gran sole che farà sciogliere i blocchi di ghiaccio, e poi ci sarà un vapore, e anche la bruma si dissiperà nella luce azzurra. Non resterà più alcuna traccia”.
La speranza del poeta resta sempre intatta tanto da poter vincere anche la morte, nonchè superare la catastrofe più terribile per l’uomo e per l’intera umanità…
Francesca Rita Rombolà
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