La visione poetica della scienza: un connubio non impossibile

28 Gennaio 2020

Vincenzo di Massa, in arte Vin Dimax, nasce a Trieste quarantasei anni fa da genitori napoletani. Laureatosi in ingegneria a pieni voti, abbina all’interesse per il volo l’amore per la lettura, in particolare del genere giallo – poliziesco. E’ appassionato di storia, filosofia, fisica, astronomia, meccanica quantistica e internet. Durante una delle salite quotidiane in autobus per via Don Bosco, osservando il meraviglioso panorama di Napoli, il mosaico che aveva dentro si ricompone guidando la stesura di un romanzo di genere fantasy a sfondo ecologista la cui vera morale è lanciare un grido di allarme per le condizioni del pianeta terra. “L’Ultimo Senso” è il suo primo romanzo.

Vin Dimax e il suo romanzo eco – fantasy “L’Ultimo Senso”.

D – Perché il nome d’arte Vin Dimax? Rappresenta qualcosa? Ha un significato preciso?

R – E’ nato quasi per gioco come estrapolazione del mio nome e cognome, ed ho deciso di adottarlo fondamentalmente perché mi piace. Quando ho pubblicato “L’Ultimo Senso” pensavo di utilizzare uno pseudonimo in quanto ritenevo che ben si sposasse con il genere fantasy e giallo del racconto. Volevo alimentare una sorta di mistero a partire da chi raccontava la storia. Quindi il resto è venuto da sé.

D – Come un ingegnere aeronautico che ama il volo riesce a conciliare ciò con la letteratura?

R – In effetti, quando si consegue una laurea come quella in ingegneria inevitabilmente si dedica molto tempo alla lettura e si ha a che fare con tanti testi. Il punto è che si tratta di libri dai contenuti tecnici finalizzati all’apprendimento e alla creazione di una cultura specialistica. Da amante del volo ho sempre pensato di non crearmi barriere e allora, ad un certo punto, ho avvertito il bisogno di recuperare, di allargare le mie conoscenze creando un legame anche con le lettere, con il pensiero e con il racconto. Ho cominciato a leggere libri in maniera massiva soprattutto di genere giallo o thriller. I miei autori preferiti sono Arthur Conan Doyle, Agatha Christie e Andrea Camilleri, ma ho apprezzato anche i racconti di Giorgio Faletti. Fuori da questo genere mi piacciono i libri di Tiziano Terzani. Ne “L’Ultimo Senso” è presente un chiaro riferimento ai benefici che si ottengono combinando la cultura scientifica e quella umanistica. In fondo la leva di tutto è la curiosità ed il continuo desiderio di apprendere.

D – Di che cosa parla il romanzo di Vin Dimax “L’Ultimo Senso”? Cosa vuole comunicare in realtà?

R – I protagonisti della narrazione sono gli studenti di un’accademia avveniristica, l’Hackademy, fra i quali spicca Tommaso un ragazzo di sedici anni con capacità cerebrali fuori dal comune. A loro si contrappone il geniale professor Yaki capace di raggiungere il centro della terra per appropiarsi dello Sliver, il frammento di materia risalente al Big Bang dell’Universo e conseguire il controllo del mondo dell’elettronica. Il titolo del libro ha, in realtà, un doppio significato. Uno è la scoperta, da parte dei protagonisti, di un potere nuovo al di sopra di ciò che i cinque sensi possono ammettere e legato alle aree del cervello finora utilizzate. L’altro è la constatazione che la società globalizzata del nostro tempo sta, forse, chiedendo troppo al pianeta terra. Alla luce di ciò ho classificato il libro come romanzo eco – fantasy. I contenuti del racconto sono rivolti soprattutto ai giovani e cercano, attraverso gli eventi che si verificano, di sensibilizzarli verso un comportamento più rispettoso della natura e più consapevole nei confronti della tecnologia. Ne “L’Ultimo Senso”, per esempio, si prospetta cosa accadrebbe se qualcuno fosse in grado di far esplodere gli smatphone in tutto il mondo. In fondo sono tutti collegati… Ci tengo tuttavia a chiarire che il messaggio è assolutamente ottimistico perché sono convinto che le nuove generazioni sapranno fare meglio, in merito a questi aspetti, di chi li ha preceduti.

D – Il rapporto di Vin Dimax con la città di Napoli.

R – Sono nato a Trieste ma vivo a Napoli da quarant’anni perché presenta tante sfaccettature e tanti problemi ma, allo stesso tempo, ha enormi potenzialità e soprattutto una storia millenaria e variegata frutto delle influenze esercitate dalle dominazioni che si sono susseguite. Questo aspetto, unito alla presenza del Vesuvio come elemento costante di rischio, ha fatto sì che la gente abbia sviluppato una filosofia di vita che può apparire leggera ma che nasconde sensibilità e consapevolezza della labilità dell’esistenza umana. Pino Daniele cantava che Napoli è conosciuta in tutto il mondo, ma il mondo non ne conosce la vera faccia. Oggi a Napoli si girano film e fiction che ne raccontano il volto violento. Il mio obiettivo ne “L’Ultimo Senso” è stato quello di provare a mostrarne anche un’altra di faccia: quella vera alla quale fa riferimento Pino Daniele. In fondo tutto il romanzo nasce da un’idea pazza: dare un’opportunità alla città di Napoli istituendovi un’accademia rivoluzionaria.

D – La scienza può avere una visione poetica?

R – A mio parere si tratta di un connubio molto difficile, ma non impossibile. Scienza significa razionalità e metodo, mentre poesia implica cuore e sentimento. Entrambi, però, hanno una matrice comune nell’intuizione e soprattutto nella volontà di voler trasmettere un messaggio. Nel caso de “L’Ultimo Senso” ci sono alcuni passaggi che, secondo me, hanno contenuti poetici come quelli legati al tramonto sul lungomare di Napoli oppure all’incontro di Tommaso con Raimondo di Sangro, il geniale principe di Sansevero, che gli darà il via per una svolta decisiva.

Francesca Rita Rombolà

Vin Dimax

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