Lilia Carlota Lorenzo, argentina, dopo aver frequentato la facoltà di Giornalismo e Giurisprudenza, si è laureata invece in architettura. Ha cambiato trentaquattro indirizzi, fatto i mestieri più disparati, vissuto in alberghi di gran lusso, topaie di infima categoria e belle case borghesi. Ha fatto incursioni nell’attività artistica con risultati soddisfacenti. Ha frequentato gli indios del Chaco ma anche i radical chic europei. Scrive libri noir ambientati nella Pampa argentina, da dove proviene. Il suo primo noir “Il Cappotto della Macellaia”, è subito diventato un best seller su Amazon con e-book self più venduto in Italia nel 2013. Contattata da Mondadori, “Il Cappotto della Macellaia” venne pubblicato da questa casa editrice nel 2016, collana autori italiani e stranieri. Un altro noir di Lilia Carlota Lorenzo, sulla linea del realismo magico latino – americano, è “Malamadre” – La confraternita delle giarrettiere”, è su Amazon, e altri tre sono pronti per la stampa.
Francesca Rita Rombolà e Lilia Carlota Lorenzo conversano insieme vivacemente.
D – Lilia, hai avuto una vita da vera avventuriera, da ciò hai tratto e trai ispirazione per i tuoi libri?
R – Questa vita da vera avventuriera, come dici tu, a volte l’ho scelta, a volte l’ho subita. Ho conosciuto la ristrettezza e l’ho vista negli altri, anche il benessere del mondo borghese. Da questo variegato connubio tra il brutto e il bello si potrebbe prendere spunto per scrivere un’intera collana di romanzi. Di solito trovo più ricche di emozioni le storie ispirate dagli emarginati. I ricchi sanno nascondere bene il loro marcio, e si dovrebbe essere una mosca per entrare nelle loro case e scoprirlo; così ti fanno vedere solo quello che vogliono: di solito un perbenismo scialbo e poco interessante. I poveracci non hanno niente da perdere, quindi nemmeno ci provano a nascondere i loro misfatti o le loro pene. Perlopiù ambiento i miei lavori in Argentina. L’Europa, visto che funziona meglio, è troppo normale per i miei gusti.
D – “Il Cappotto della Macellaia” è un libro che ha avuto un grande successo, a cosa attribuisci ciò al tuo modo di scrivere o alla storia che racconti?
R – I lettori, nei loro commenti, hanno trovato “Il Cappotto della Macellaia”, edito da Mondadori, un libro originale e divertente. Forse sarà perché c’è un pò di tutto: tragedia, amore, suspence, divertimento, pettegolezzi, personaggi buoni e (soprattutto) cattivi. Insomma, difetti e virtù che potrebbero addirsi non solo agli abitanti di Palo Santo, lo sperduto paese della Pampa Argentina dove si svolgono i fatti, bensì a tutto il genere umano. Riguardo il mio modo di scrivere, che dire… sono terrorizzata di annoiare il lettore, quindi cerco di andare subito al sodo risparmiando metafore e aggettivi. Non mi soffermo in lunghe descrizioni ma mi piace approfondire l’anima dei personaggi, soprattutto il loro lato oscuro, marcio. Qualcuno ha detto che questo modo di scrivere sia il risultato di una vita carica di frustrazione. Beh, se così fosse, almeno mi risparmio le spese dell’analista. Tornando al mio modo di scrivere, per quanto questo sia scarno, devo riuscire a trasmettere al lettore le situazioni, l’agire e il sentire dei personaggi nel modo più coinvolgente possibile.
D – Il realismo magico, così caro agli scrittori e alle scrittrici dell’America Latina (primi fra tutti Gabriel Garcia Marques e Isabelle Allende), per Lilia Carlota Lorenzo.
R – Il precursore del realismo magico, lo stile artistico che ha coinvolto soprattutto la letteratura, è senza dubbio Gabriel Garcia Marquez, per questo si pensa subito all’America Latina, ma lo troviamo anche in Faulkner, Kundera, Kafka. Nel mio piccolo, potrei dire che “il mio stile”, se ce ne fosse uno, sarebbe una specie di fritto misto tra il realismo magico, il grottesco e il surreale. La cosa buffa è che certi personaggi e storie che ho scritto sono state ispirate da Borges o Cortàzar. Ti do un esempio. Il fatto accaduto molti anni fa nel paesino dove vado a passare le ferie quando mi reco in Argentina. Era morto un uomo, e i due rami della famiglia si contendevano la veglia funebre. Alla fine una ebbe il sopravvento. Mezzanotte inoltrata, il paese era al buio perché un tuono aveva fatto saltare la corrente elettrica. La famiglia perdente, che non si era rassegnata, decise di riprendersi la salma del caro estinto. Strade di terra battuta allagate dalla pioggia, per uno scivolone degli improvvisati portantini la bara andò a finire per terra. Uno dei parenti, ormai ubriaco per il dolore della perdita, in un gesto di amore verso il suo caro, accese una sigaretta e gliela mise tra le labbra! Non so come sia finita la storia. I pochi superstiti sono ormai troppo vecchi. Per quanto la storia sia vera, potrebbe benissimo essere uscita dalla penna di uno scrittore.
D – Gli altri tuoi libri, ne vuoi parlare in breve?
R – Ho scritto un noir tra il magico e il grottesche provvisoriamente intitolato “la famiglia Malamuerte”. Ispirato a un fatto realmente accaduto ma rimaneggiato da me, racconta la feroce uccisione di un usuraio per mano della moglie, credo ben meritata. Poi ho da parte un romanzone a tinte autobiografiche: “La maledizione della nonna spagnola”. Una sorta di “Le ceneri di Angela”, ma ambientato in Argentina. Parto dai miei antenati provenienti dall’Europa e approdati nel Nuovo Mondo a partire dal 1800. Faccio cenno alla “guerra sporca” combattuta dai militari genocidi argentini nella quale sono stati uccisi anche alcuni amici. Forse me lo pubblicheranno se divento davvero famosa a livello mondiale! Adesso sto finendo un giallo classico. Racconta di un misterioso caso di omicidio – suicidio che coinvolse una famiglia ricca di Buenos Aires; ma la cosa che mi entusiasma di più è una vicenda che ho saputo ascoltando certe voci che circolano riguardo una casa di riposo per anziani ricchi. Dovrei cambiare nomi, posti e date perché, da quello che ho sentito, oltre a un noir, si potrebbe ricavare anche un buon horror. P. S – Credo ci sia ancora su Amazon “Malamadre – La confraternita delle giarrettiere”, libro pubblicato come self tanti anni fa!
D – La città di Buenos Aires e l’Argentina, racconta un pò il tuo rapporto con esse.
R – Buenos Aires è una città caotica dove tutto funziona in modo approssimativo. Tuttavia è molto accogliente con i turisti e con gli stranieri in genere. Ha una ricca vita notturna. Puoi mangiare al ristorante alle tre del mattino! La gente non ha mai fretta per andare a letto e, contrariamente agli antipatici orari europei, trovi locali aperti di tutti i tipi, a tutte le ore e per tutti i gusti. Io sono nata e cresciuta nella Pampa, posto noiosissimo dove le uniche a divertirsi sono le mucche che si muovono libere mentre pascolano nei campi. Quando hanno sete si abbeverano nei mulini a vento, e se c’è troppo sole o sono stanche si cercano un albero per fare la siesta. Anche se poi faranno la stessa fine delle proprie “sorelle” europee allevate in gabbia: morte ammazzate per essere mangiate, con la differenza che la loro carne è la più saporita del mondo!
D – La Poesia e i poeti nella tua esistenza.
R – Non credo di essere all’altezza di parlare di poesia. Non è un vanto, anzi, è un tema che mi piacerebbe approfondire. Adoro sì le poesie del romanticismo spagnolo come “le Rime” di Gustavo Adolfo Bécquer e le poesie di Federico Garcia Lorca in lingua originale. Come argentina dovrei nominare José Hernandez, l’autore del “Martin Fierro”, per noi l’equivalente del “Don Chisciotte” spagnolo, o la Divina Commedia per gli italiani. Mi piacciono le parole del tango argentino perché rispecchiano i bassifondi che tanto amo. Tutto qua, come ti dicevo, dovrei mettermi a studiare.
Francesca Rita Rombolà
Lilia Carlota Lorenzo
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