Claudio Aita, friulano figlio di immigrati, è nato in Svizzera nel 1962. Ha vissuto tra il Friuli e la Toscana dove si è laureato e dove attualmente vive. E’ esperto di storia della Chiesa e storia Medioevale, oltre che musicista, scrittore ed editore nel settore del restauro, dell’arte e dei beni culturali. Ha collaborato, come pubblicista, con riviste di viaggio, cultura e storia locale. Con Nardini Editore ha pubblicato due testi di successo sui rapporti fra religione e cultura alimentare: “Viaggio illustrato nella cucina ebraica” (giunto alla terza edizione) e “Viaggio illustrato nella cucina islamica” . Di prossima uscita “Viaggio illustrato nella cucina ortodossa.” Negli ultimi anni, fra le altre pubblicazioni, si è proposto soprattutto come autore di thriller di ambientazione storica e contemporanea. Ha pubblicato “A.D. 1033” (Il Molo), “Le colline oscure” (Nardini Editore), “La città del male” (Nardini Editore). Con la Newton Compton ha pubblicato due thriller: “Il monastero dei delitti” (2018) e “La casa del manoscritto maledetto” (2019). Come autore di gialli Claudio Aita ha vinto il III Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Parole” (Firenze, 2014): Primo premio libro inedito con “La città del male”, il III Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Parole” (Firenze, 2014): Premio della Giuria per il noir storico – sezione editi – con “Le colline oscure”; il IV Premio di Poesia, Narrativa, Teatro e Pittura “Luce dell’Arte” (Roma, 2015): Secondo classificato per la sezione Narrativa con l’opera edita “Le colline oscure”; il Premio Holmes Awards – Premio Miglior Libro “La città del male” (Napoli, 2016); il I Concorso Letterario Nazionale “Argentario”: Secondo classificato – sezione inediti – con “Eclissi di sangue” (Argentario, 2016).
Francesca Rita Rombolà e Claudio Aita dialogano insieme.
D – Claudio Aita, innanzi tutto una premessa: lei è un esperto di storia della Chiesa e di storia Medioevale, forse questo l’ha spinta a scrivere, in primis, dei testi piuttosto insoliti e, direi, rari cioè sui rapporti fra religione e cultura alimentare. Cosa può dire al riguardo?
R – Si è trattato del frutto dell’incontro casuale con un piccolo, ma prestigioso, editore fiorentino il quale, da anni, desiderava pubblicare una collana concepita come un viaggio all’interno delle religioni e rivolto a un pubblico ampio e non specialistico che ne voleva semplicemente sapere di più, partendo proprio dalla vita materiale e l’alimentazione. Io conoscevo l’argomento. Ne sono nati dei titoli che sono stati un successo editoriale. Grazie anche alla veste grafica coloratissima che ricalca quei libri di memorie che i viaggiatori si portavano a casa di ritorno dalle loro peregrinazioni. E anche grazie alle illustrazioni originali, bellissime, di una bravissima illustratrice, Marcella Brancaforte. Da qui la scelta del titolo “Viaggio illustrato”. Parlare di alimentazione e cucina è dovuto al fatto che l’atto di alimentarsi è quanto di più pregnante e quotidiano ci possa essere. Noi stessi, quando andiamo con il pensiero a ciò che caratterizza gli appartenenti alla religione ebraica e islamica, pensiamo, fra le prime cose, ai divieti alimentari cui queste persone sono tenute. Si è trattato di un successo editoriale, dicevo, tanto che, proprio in questi giorni, a distanza di oltre quindici anni, stiamo lavorando alla quarta edizione riveduta e aggiornata. E il fatto che le stesse comunità ebraiche continuino ad acquistare il titolo sull’ ebraismo e a farne ottime recensioni è una notevole soddisfazione per un autore che, non dimentichiamolo, non è ebreo. C’è anche da dire che il fatto di aver pubblicato un testo che parla di religione ma che, con questa scusa, diciamo così, scava nel profondo della cultura di un popolo, tratta di teologia, di precetti, di vita comune e così via, permette di mettere in luce le profonde comunanze che uniscono due fedi, quella ebraica e quella islamica, che sembrano in apparenza così distanti e inconciliabili. Per questo mi sono trovato spesso a presentare i due testi assieme, con la convinzione che basta sedersi a parlare fra di noi, magari a tavola, per rendersi conto di quanto siamo simili, in fin dei conti. Come sempre, la conoscenza sconfigge il preconcetto e l’odio. E i libri, in questo, hanno un’importanza insostituibile.
D – Secondo lei quanto si legge oggi in Italia e come si legge, che genere sembrano preferire i lettori e cosa pubblicano gli editori soprattutto i più grossi?
R – Si legge molto poco e su questo, purtroppo, non ci sono dubbi. Le statistiche lo attestano e sono deprimenti. E facciamo una gran magra figura se confrontiamo i dati della lettura in Italia con quelli degli altri paesi. Non è nemmeno un problema di tecnologia o di altri mezzi di comunicazione. Anche negli altri paesi ci sono internet, i cellulari, i video giochi, la televisione e via di questo passo… Ma i loro abitanti leggono molto di più, in certi casi anche il doppio (dati AIE). Quindi, il nostro è un problema culturale sulle cui origini si potrebbe discutere. E la scuola non è estranea a quest’opera di disencentivazione alla lettura. Personalmente ho sempre affermato, provocatoriamente, che Dante, Petrarca, Manzoni, Leopardi e così via andrebbero quasi eliminati dai programmi scolastici. Perché la percezione che un giovane ha della cultura è che sia qualcosa di datato, di morto come tutti gli autori di cui si continua a parlare, su cui si continua a scrivere e a dibattere in un infernale corto circuito. Se noi non faremo passare il messaggio che la cultura e la scrittura sono qualcosa di vivo e di importante per la nostra esistenza, oltre che uno strumento per difenderci (come sosteneva don lorenzo Milani), gli studenti, una volta finito di sfogliare i soliti libri imposti dal docente, essersi sorbiti tre anni di Divina Commedia e così via, di libri non ne vorranno più sapere. Nei programmi scolastici andrebbero inseriti autori viventi, o contemporanei. Tutte le persone più giovani conoscono i personaggi di H. P. Lovecraft, ad esempio, perché si ritrovano nei giochi di ruolo e da molte altre parti. Perché far leggere i suoi libri sui banchi di scuola? Personalmente lo considero un maestro imprescindibile per la sua capacità descrittiva e per la potenza evocativa della sua scrittura. Io metterei Lovecraft al posto di molti autori del Novecento italiano, noiosissimi, che vengono imposti sui banchi di scuola. Ma, al di là della provocazione, è fondamentale ridare una patina di freschezza alla nostra letteratura. Dante va saputo e letto, intendiamoci, ma se non partiamo da quello che è più vicino alla nostra esperienza saremo sempre tentati di fuggire a ciò che si definisce “cultura” come a qualcosa di mummificato. E perché non inserire nei programmi scolastici dei corsi di scrittura creativa? E’ un pò quello che succede nell’ambito della musica “ufficiale” dove ci sono persone che continuano a trattare di dodecafonia e di un Novecento chiuso nei conservatori e di cui non interessa praticamente a nessuno. E ci si dimentica di quello che di notevole è stato prodotto negli ultimi decenni. Con il risultato che le persone, oggi, ascoltano rock e mille altri generi. E lasciano deserte le sale da concerto dove si continuano a proporre repertori molto datati. Sul come si legge, nonostante quanto si possa pensare, non c’è competizione fra i vari supporti del libro. Il lettore forte, quello che si affida al cartaceo, è anche il maggiore acquirente di e-book. Per quanto riguarda il settore audio libri, in rapida espansione, vedremo nel prossimo futuro le sue potenzialità Il problema, semmai, è quello del prezzo. Sono convinto che se, finalmente, riusciremo a recepire, sul modello francese e tedesco, la legge dello sconto massimo del 5% sul prezzo di copertina, paradossalmente, i prezzi dovrebbero calare e non essere più così conveniente l’acquisto su Amazon (con la conseguente ripresa di parte delle librerie fisiche). Questo perché il prezzo del libro in Italia è drogato dalle politiche dei grandi gruppi editoriali (che, infatti, si sono sempre opposti alla riforma) che alzano artificialmente il prezzo dei libri per poi praticare sconti alti. Se questa politica degli “sconti falsi” venisse scoraggiata, il prezzo del prodotto – libro calerebbe, in linea con gli altri paesi europei. In Italia ci sono due grandi filoni che tirano il mercato della narrativa: il romanzo rosa e il giallo/thriller. Il primo ha le sue dinamiche proprie, sia come scrittura che come prodotto commerciale ma, come è stato fatto notare, ha un pubblico che non è affatto quello della casalinga, come si potrebbe pensare, ma molto spesso di professioniste e di donne di una certa cultura. Evidentemente c’è bisogno di questo genere di letture che, di norma, finisce bene e con un messaggio positivo, ma che può arrivare anche a livelli di grande qualità. L’altro genere sempre più gettonato e del quale, dopo anni di marginalizzazione da parte dei critici ufficiali, viene sempre più riconosciuto il spesso notevole livello è quello del giallo, del thriller… insomma della suspense. In questo caso sono in conflitto di interessi, naturalmente. Eppure non è un caso che tutti i grandi editori, gli stessi che fino a non molto tempo fa lo schifavano, fanno ormai a gara per accaparrarsi i migliori autori di thriller sul mercato internazionale. E, infatti, molti testi pubblicati sono traduzioni, e c’è ancora una sorta di diffidenza nei confronti degli autori italiani emergenti. Ingiustamente, visto che ci sono penne di grande valore anche da noi. Diciamo anche che, ormai, il termine “giallo” o “thriller” va talmente stretto perché tali sono le contaminazioni con gli altri generi che questi termini sono diventati trasversali a molti altri generi. Io stesso utilizzo il genere thriller per parlare di storia, di religione, per discutere sulla presenza del male nel mondo e così via.
D – Ad un certo punto della sua carriera di scrittore lei si evidenzia come autore di genere( thriller e giallo). Vorrei raccontasse dei suoi due ultimi libri, ossia “Il monastero dei delitti” e “la casa del manoscritto maledetto” entrambi pubblicati dalla Newton Compton Editori
R – Sono due libri che hanno avuto un discreto successo di vendite e di critica. Sono due thriller, anzitutto, e sono scritti secondo il ritmo e le logiche che questo genere richiede. Anche se ho cercato di distinguermi dalla produzione simile per lo stile di scrittura. Ognuno dei due testi ha richiesto un lungo lavoro di ricerca e di documentazione. E il lettore, assieme a una trama robusta, a tanti misteri e a un ritmo serrato, troverà anche molta storia e non solo. Il romanzo “Il monastero dei delitti” è, in realtà, una doppia vicenda: una ambientata ai nostri giorni e una nella Firenze del Trecento che si incrociano. Vi ho costruito, fra le altre cose, un processo dell’Inquisizione nel quale mischio personaggi e fatti reali con personaggi di fantasia. Ma vi si parla anche di cronaca recente quali i delitti del Mostro. Nel secondo, “La casa del manoscritto maledetto”, il tratto comune è il sangue inteso come liquido portatore di vita e di eternità, partendo dai sacrifici umani in area semitica e in ambito biblico fino a giungere, dopo un viaggio maledetto nel corso dei secoli, fino alla Firenze dei giorni nostri. E la scelta di Firenze, città dalla doppia faccia, solare e bellissima una, sotterranea e inconfessabile l’altra, non è casuale. La cosa che va segnalata è che di tutte le vicende in cui parlo in entrambi i libri, e sono tantissime, non me le sono inventate ma sono (come capita nel caso dei sacrifici di bambini e del fatto che la Bibbia non ce la racconti giusta, oppure della presenza massonica e satanica a Firenze) ricavate da ricerche di studiosi autorevoli, da scavi archeologici, da studi di linguistica comparata e così via. O dalla cronaca. Tutto, insomma, rigorosamente documentato. Su questi fatti, sconvolgenti di per sé, ho costruito la trama del thriller. Essi lasciano il lettore nel dubbio che quella che appare una costruzione di fantasia sia, in realtà, qualcosa di assolutamente verosimile o possibile. Il protagonista, Geremia Solaris, è un perdente, seppur uomo di grande cultura, trascinato, suo malgrado, in vicende più grandi di lui. Un essere complesso e problematico, dedito all’alcol e in preda ai sensi di colpa per la morte di sua moglie della quale si sente colpevole. Eppure capace di interpretare tutto l’orrore che si nasconde in quella città ipocrita e doppia: quello scrigno di bellezza che noi conosciamo, che è Firenze. Quella specie di capitale del male in un mondo che ha abbandonato ogni speranza e dove tutto è diverso da quello che appare.
D – Gli altri thriller? Racconti anche un pò degli altri.
R – “Le colline oscure” tratta delle vicende oscure della Sindone e attraversa la storia (anzi le due storie che scorrono in parallelo) attraverso la voce di protagonisti reali, come Celestino o Francesco, e percorrendo luoghi concreti, da Costantinopoli fino a La Verna, per giungere all’epilogo ai nostri giorni, portando il lettore fino al soglio del mistero, di ciò che forse non sarebbe mai dovuto essere rivelato. Perché quella verità, quel Dio che dovrebbe essere una fonte di speranza forse non è un’entità così buona e amorevole come la si è dipinta. “la città del male”, invece, è stato il lavoro preparatorio a “Il monastero dei delitti” pubblicato con Newton Compton dopo le recensioni molto positive. In questo momento, però, sono molto concentrato su una nuova serie di thriller storici di ambientazione medioevale che vede protagonista il monaco benedettino Anselmo e le sue indagini in un mondo apparentemente senza speranza, in un’ambientazione cupa dove le logiche sono quelle del potere, nel quale sono gli istinti basilari dell’uomo a farla da padroni: amore, vendetta, brama di potere. E dove non hai alternative, come i lupi che, in quegli anni, dilagavano nei boschi: o mangi o sei mangiato. Diversi editori importanti stanno valutando, in questo momento, i primi due capitoli della serie. Nel primo, “Ecco perché morirai”, Anselmo, bloccato in seguito a una tormenta di neve in un borgo di montagna, si trova a indagare su strani casi di persone sbranate dai lupi. Possibile che questi animali agiscano per conto proprio, o c’è dell’altro? Un odio, un desiderio di vendetta che viene da molto lontano e che qualcuno, a distanza di anni, ha deciso di soddisfare? Il secondo episodio, “Eclissi di sangue”, è, invece, ambientato in un monastero sperduto dove qualcuno sta uccidendo i monaci, in maniera atroce, uno dopo l’altro. E la narrazione, con le indagini di Anselmo e del giovane Gregorio, si accavalla con il racconto della tragica vicenda di fra Dolcino raccontata con la voce di un bambino. Che rapporto ci può essere fra queste due storie? In queste settimane sto lavorando al terzo episodio. Vediamo, però, quale sarà la casa (pardon, il monastero) che vorrà ospitare la vicenda del nostro monaco benedettino.
D – Se dovesse fare un viaggio nel passato, che epoca della storia sceglierebbe e perché?
R – Se devo essere sincero, nessuna. Ma non perché ami il periodo e il contesto nei quali mi trovo a vivere. Io vengo da una terra di confine e da una famiglia di contadini e di operai. Gente che ha sempre visto i confini passare sopra la propria testa e succedersi un padrone all’altro. Insomma, un popolo al quale la storia è stata sempre negata e che, semmai, la storia l’ha solo subita. Nei miei libri parlo di loro, dei poveri cristi che, a prescindere dall’epoca, hanno sempre vissuto molto male. Perché il potere, e questo è quello che ho imparato in tanti anni di ricerche, è sempre cattivo. Anche per questo, prendendo la parte dei perdenti, non c’è epoca nella quale mi piacerebbe vivere. Non c’è un periodo migliore dell’altro. E anche il periodo d’oggi, pur con il miglioramento oggettivo della qualità di vita, non promette niente di buono.
D – Le piacciono la Poesia e i poeti? Cosa ne pensa?
R – Devo confessare che non frequento molto questo genere. Ad eccezione, naturalmente, dei classici e qualche autore che ha scritto in lingua friulana. Pasolini su tutti, ma anche altri. Conosco diversi bravi poeti e li frequento per motivi legati alla mia attività di editore. E qualcuno l’ho anche pubblicato. Ma in giro c’è molta approssimazione, e la mia impressione è che chi scrive poesia molte volte cerca soprattutto una scorciatoia che non costi molta fatica. E noto tanti testi che si assomigliano un pò tutti. Senza un vero salto di qualità. Anche se le eccezioni ci sono. Personalmente preferisco la narrativa, anche di genere come il thriller. Non che qui non ci siano quelli che cercano scorciatoie. Ma la scrittura, almeno come la vivo io, è un’attività che richiede grande fatica, anche fisica, soprattutto quando ti impegni in lunghe ricerche e in infinite riscritture. Penso che, alla fine, un romanzo possa raggiungere una perfezione formale non inferiore alla migliore poesia, e che riesce a scavare nell’animo dell’uomo, nelle sue imperfezioni, nelle sue miserie, nelle sue speranze e così via con una capacità di analisi, con una concretezza che alla poesia, a causa della sua ristrettezza fisica, è negato.
Francesca Rita Rombolà
Claudio Aita
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