Roberto Barbari è nato a Ponte della Priula, Treviso, l’11 settembre 1967. Secondo di sette figli, si diploma in elettronica industriale nel 1987 e lavora alcuni anni. Riprende quindi gli studi e si laurea in Filosofia e Scienze Umane all’università cattolica del Sacro Cuore di Milano nel 1999. Da allora lavora presso una linea di montaggio di Electrolux a Santa Lucia di Pieve, Treviso. Ha pubblicato una grande varietà di libri di ogni genere: molte raccolte di poesie, saggi di filosofia, romanzi, fra i quali: “Tutto in un verso” saggio di poesia edito da Il Convivio, 2020, “Vicino ad un sogno” e “Ciottoli sul cammino” sillogi poetiche edite entrambe da Eventualmente Edizioni, 2020, “Teogonia” saggio edito da Il Convivio, 2019, “La coda del gatto” romanzo edito da Penna d’Autore, 2011, “L’enigma della vita” commento al libro di Quoèlet edito da Penna d’Autore, 2011.
Francesca Rita Rombolà ha conversato con Roberto Barbari di poesia, principalmente, ma anche su altri argomenti.
D – Roberto Barbari, innanzitutto, come è riuscito a conciliare l’elettronica con le scienze umane.
R – Vorrei iniziare a rispondere a questa domanda prendendo spunto da una massima di Aristotele sulla metafisica: “Tutte le altre scienze saranno più necessarie di questa, ma nessuna sarà superiore”. Si tratta di trovare il giusto, quanto dinamico, equilibrio fra dimensione materiale e dimensione spirituale, evitando un avulso spiritualismo tipico di certi estremismi religiosi, da un lato, ed un becero materialismo per il quale peraltro l’uomo diventa schiavo della tecnologia: connesso con tutti ma incapace di parlare con nessuno, di ascoltare nessuno tantomeno se stesso, tipico della società moderna, dall’altro. Quando nel 1991 ho mollato il lavoro per intraprendere un corso di studi di filosofia, non fu certo per rinnegare quel lavoro, pratico e materiale, ma per darmi un pò di completezza in più nella mia capacità di riflettere. Ancora adesso che faccio l’operaio in una linea di montaggio non disprezzo assolutamente questo lavoro, anche se “l’oro della sapienza” resta una ricchezza che, non solo nessuno può portarti via, ma che soprattutto ti invita a qualche riflessione di senso in più. Se la scienza ti permette di fare tante cose utili, la metafisica dovrebbe invitarti a riflettere sul senso di quello che stai facendo. Si tratta di una grande carenza dell’uomo di oggi di saper fare molto di più di quanto sappia comprendere.
D – Ha scritto saggi sul pensiero, romanzi e commenti ad alcuni libri della Bibbia e alla Bibbia stessa. Ne vuole parlare un pò?
R – Dei tre ambiti che caratterizzano la mia produzione letteraria i romanzi occupano certamente la parte minore, semplice ma non per questo banale. Si tratta di slanci appassionati di cuore ai quali ho risposto con qualche pagina scritta frutto di pochi giorni o, come per il caso di “La figlia di Penia”, di una sola notte. I saggi rappresentano, invece, la parte razionale di me stesso. Fatta un pò eccezione per quello di teogonia e quello sulla poesia, essi sono fondamentalmente un’analisi ragionata, e spesso in contrasto, di questa civiltà. Di questa civiltà di uomini malati all’inverosimile, addomesticati quanto rassegnati, iperconnessi eppure soli. Un’analisi di questa civiltà caratterizzata tanto dal monopolio tecnologico quanto da un monoteismo economico che suddivide gli uomini, non in bianchi o neri, né in virtuosi o malvagi, in credenti o senza Dio, ma semplicemente in ricchi e poveri. E’ un’analisi fatta, con tanta semplicità, da parte di uno che ha scelto di porsi non fra i dottori e le dottrine quanto fra la gente, fra gli operai di una linea di montaggio. Un’analisi di questa civiltà che non è certo l’unico modo per essere civili. Veniamo, infine, ai commenti biblici ai quali, per vicinanza di argomentazioni, porrei anche il saggio di teogonia. Questi rappresentano dei veri e propri studi documentati, e non certo frutto di fantasia. Devo, quindi, anche riconoscere un grande dispendio di tempo ed energie che in questo momento non ho proprio. I commenti, infatti, sono stati abbozzati già nel periodo universitario, come anche il “Gioco della civiltà” ed il saggio di poesia, mentre la teogonia è “figlia” di un grave infortunio in fabbrica che mi ha costretto ad un riposo forzato per circa sette mesi. Sempre per quanto riguarda, invece, i contenuti vorrei ricordare che se, da un lato, Dio rappresenta la massima apertura dell’uomo sull’Infinito, sul desiderio di superare la finitudine delle cose che passano e non restano, dall’altro è facile cadere in quella religiosità che riduce Dio a vicenda morale, che perfino un senza Dio può rispettare; un dio, perciò inquadrato e perciò bestemmiato, nelle categorie umane. La religione non può essere una dottrina accademica che sfocia in un rito comandato dove il cuore trova pochissimo spazio. La religione allontana da Dio poiché appaga quando invece dovrebbe far volare. Meraviglioso, a tal proposito, è l’insegnamento che ci viene dal Giobbe biblico: Dio non ha paura del coraggio dell’uomo, purché venga dal cuore. Per tutto questo posso dire che il poeta crede negli dei, ma non nelle religioni.
D – Veniamo adesso alla poesia. Mi è parso di capire che la apprezza e la ama, infatti ha pubblicato molte sillogi poetiche. Cosa ne pensa della poesia e qual’è il suo rapporto con la Poesia?
R – Ed eccoci finalmente alla poesia. Domandare ad un poeta di parlare di poesia è come domandare ad un filosofo di parlare dell’Essere: non si sa da che parte iniziare, ed una volta iniziato non si finirebbe mai. Ed anche in questo sta la sua bellezza (della poesia) che è viaggio, ricerca, sentiero appena accennato e che il cuore deve battere, percorrere fra gioie e paure, slanci e amarezze, solitudine. Per me la Poesia è riconiare il Creato, il Destino aggiungendovi, però, il proprio cuore. E’ la magia del sogno che supera la razionalità, è silenzio ed ascolto prima di qualsiasi scrittura. La Poesia è vedere il dolore ed interrogarsi senza rifuggire in banali risposte. Ed ogni risposta, di fronte all’Infinito, risulta banale. Nella poesia l’uomo mette a nudo la sua anima, dove il pudore gli fa dire: “io sono questo”, tanta è la solitudine, figlia del fatto di saper vedere cose che altri non vedono. La sua amarezza: di non essere ascoltato o, peggio ancora, di essere scambiato per un artista prezzolato. Lo sa che c’è gente, nella fabbrica dove lavoro, che mi domanda libri per arricchire la propria biblioteca ma non il proprio cuore? Gente che mi domanda di scrivere poesie per la moglie o per la figlia per un’occasione speciale? Il mio sogno resta quello di poter sempre stupirmi del Creato che mi circonda, di non fermarmi mai nella ricerca di Dio e, perché no?, nella ricerca di quel verso che tutto sappia esprimere. E non esiste sogno più bello di quello di saper toccare il cuore delle persone amate, ad iniziare da quello della mia donna. Ogni donna è per me immacolata concezione. L’unità di misura della bellezza. La mia donna è ciò che ha fatto di quest’uomo, che non sapeva andare oltre la fredda giustizia, un poeta.
D – La gente ama leggere? Secondo lei che libri preferisce leggere: romanzi, saggi di storia o di filosofia, thriller ecc. ecc.?
R – Non credo che oggi la gente sia ben disposta verso la lettura, a motivo di un cuore troppo poco attento, troppo pieno di nulla, addomesticato più ad obbedire che a riflettere e soprattutto allenato ad essere rassegnato e a correre. Oggi nessuno sa fermarsi più, non può più fermarsi. Forse il comandamento più violato è quello del riposo. Va da sé che messe insieme queste considerazioni non possono che portare ad una sola conclusione: si legge poco e letture di scarsa profondità.
D – Come definirebbe la sua vita fino ad ora: di un avventuriero, di un intrepido, di una persona del tutto normale o di un qualcos’altro ancora?
R – Forse la definirei di avventuriero un po’ fuori dal normale, se non proprio incosciente; mi calza abbastanza. Ho fatto l’agricoltore e il muratore. Dopo il diploma ho ricoperto il ruolo di responsabile di reparto in una fabbrica per finire, dopo la laurea, in una linea di montaggio e di nuovo nella terra dove passo molto del tempo che la fabbrica mi concede. Potrei definirmi un buon lavoratore, una mente discreta. Se poi aggiungiamo quasi cento pubblicazioni. La mia grande mancanza sono i rapporti umani. Io con le persone non ci so proprio fare. Oltre agli ovvi rapporti coi colleghi di lavoro, coi quali può anche scapparci una pizza e qualche bel discorso, ho solo un grande amico che con me deve tirar fuori tutta la pazienza del mondo: uno studente al quale offro il mio aiuto pretendendo in cambio solo impegno e una donna che credo di gratificare, ma che anche deludo e ferisco sistematicamente. Rapporti familiari di fatto inesistenti. A volte mi sento proprio un mostro.
D – Il momento che stiamo vivendo può cambiare il mondo, cambierà davvero l’uomo dal di dentro, tenendo conto che una pandemia mondiale non è cosa da poco?
R – Che questa pandemia non sia cosa da poco è innegabile. Tuttavia credo che gli unici cambiamenti che apporterà non riguarderanno il cuore dell’uomo o la sua interiorità, quanto semplicemente gli equilibri economici da rivedere e da riconiare. Come emergenza sanitaria, pur nella sua gravità, il covid 19 non rappresenta certo un caso particolare rispetto ad emergenze passate o sempre attuali. Il mercato e i traffici internazionali hanno diffuso il virus che, resto convinto, sia un prodotto dell’uomo molto più che altri del passato, ma senza tuttavia incidere sulla salute degli uomini in modo così originale e devastante. Non intendo assolutamente mancare di rispetto ma le cifre, per quanto fredde, vanno in un’altra direzione. Più significativa credo, invece, l’emergenza economica che, non ho dubbi, conierà una nuova realtà, anche se la maggior parte delle persone neppure se ne renderà conto. Torneremo a lavorare, a fare acquisti e a pagare le tasse, a produrre mattoni per le nostre case, automobili, grano per le nostre tavole. Ma forse lo faremo più indebitati di prima, per altri padroni con buone probabilità più ricchi e più grassi di quelli precedenti. All’umanità tutta questa vicenda ha portato solo un pò di paura, tutta a vantaggio delle politiche sanitarie, ma non solo… Per il resto l’uomo fa presto a dimenticare.
Francesca Rita Rombolà
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