Una poesia che non si concede mai subito. Renè Char e il mistero della sua poesia

17 Giugno 2020

Renè Char (1907 – 1988), poeta, francese. Il suo cognome è breve e duro. Nella Resistenza portava un altro nome, più melodioso: Capitaine Alexandre. La Resistenza in Francia si chiamava “Maquis”, come l’impenetrabile macchia che copre certe zone della Provenza.

Renè Char abitava in Provenza, esattamente a L’ Isle – sur la Sorgue. Nella lotta clandestina Renè Char era un combattente, un soldato. C’è, in fondo, una gloria antica nella combinazione di poeta e soldato, basti pensare a Wilfrid Owen, a Ernst Junger, a Miguel de Cervantes e alla poesia dei samurai del Giappone antico: il poeta come eroe guerriero, quasi mitologico. Nel caso di Renè Char l’aspetto mitologico sembra sia ulteriormente rafforzato dal mistero della sua poesia: una poesia che non si concede mai subito, che sfida e mette alla prova.

Versi misteriosi e non conformisti certo, nei quali echeggia latente una sorta di “recondita antichità” che stabilisce le proprie leggi e ha la propria storia. Versi che vanno letti in lingua originale (il francese) per poterli comprendere e gustare appieno. Versi che forse catapultano in una specie di incantesimo da cui emerge lentamente un senso che non corrisponde alle parole, ma che tuttavia cattura finché non si riesce a penetrare nella poesia:

Predecessore

Ho ravvisato in una roccia

la morte fugace e miserabile,

il letto aperto delle sue piccole comparse

al riparo di un fico.

Di tagliapietre nessun segno:

ogni mattino terrestre apriva

le ali in fondo ai gradini della notte.

Tanto basta: alleggerito dalla paura degli uomini,

scavo nell’aria la mia tomba e il mio ritorno.

Su invito di Renè Char il filosofo tedesco Martin Heidegger era andato per tre volte, tra il 1966 e il 1969, a Thor, in Valchiusa, non lontano da L’ Isle – sur – la – Sorgue, dove il poeta abitava. Nel 1959 René Char aveva composto una breve poesia per lui e si erano incontrati già in precedenza. Per le loro conversazioni a Thor ebbe grande importanza la presenza di Jean Beaufret, che traduceva le parole di Martin Heidegger  a Renè Char che non capiva il tedesco. Queste conversazioni avevano luogo nei paesaggi di Paul Cèzanne durante passegiate lungo la riva di un fiume “qui ètait la fraicheur meme (“che era la freschezza stessa”). Rène Char chiese a Martin Heidegger se avesse mai fatto passeggiate come quella insieme a Edmund Husserl. Martin Heiddeger sorrise, guardò Renè Char negli occhi e rispose: << Edmund Husserl non è mai stato nella natura, è sempre rimasto nella fenomenologia>>.

Di Jean Beaufret sono anche queste parole sul rapporto tra filosofia e poesia, che ben si confanno alle conversazioni tra Renè Char e Martin Heidegger: <<La differenza principale  tra la Poesia e il pensiero sta forse nel fatto che la Poesia esiste già, mentre il pensiero non esiste ancora, o meglio, nel fatto che il pensiero non appena insorge degenera in filosofia, cioè in metafisica. Il dialogo con la Poesia può avere inizio solo a partire da un pensiero che difficilmente è possibile. Questo ha lasciato intendere Martin Heiddeger in presenza del poeta>>. Allo stesso tempo, si legge in “La lezione dei maestri” di George Steiner che secondo Ludwig Wittgestein, la filosofia può trovare la sua espressione migliore nella poesia.

Per l’aurora, la disgrazia è il giorno

che sta per venire;

per il crepuscolo, la notte che ingoia.

Un tempo vi furono uomini d’alba.

A questo imbrunire, forse, noi.

Ma perché con il ciuffo,

come le allodole?

Renè Char per Martin Heidegger, 26 maggio 1959

Francesca Rita Rombolà

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