La Cina odierna e il concetto taoista del Wu – wei

26 Agosto 2020

Cina del V secolo d. C. I due pensatori Hsiang e Kuo dettero, per la prima volta, una nuova interpretazione alle primitive idee taoiste sulla naturalezza e sull’artificiosità, sull’Yu – wei, o dell’avere, e sul Wu – wei, o del non avere attività (tradotto anche con non – azione).

Quando c’è un cambiamento di circostanze nell’ordine sociale, nuove istituzioni e costumi vengono spontaneamente prodotti. Lasciare che essi si sviluppino significa seguire il corso naturale delle cose ed essere quindi Wu – wei, cioè non azione. Opporsi ad esse e voler mantenere ciò che è vecchio, fuori tempo e artificioso è Yu – wei, cioè con azione. In un passo del Commentario del Tao di Hsiang e Kuo è scritto: “Quando l’acqua scorre dall’alto verso la pianura la corrente è inarrestabile. Quando le piccole cose si associano a ciò che è piccolo e le grandi a ciò che è grande la loro tendenza non può essere ostacolata. Quando un uomo è vuoto e senza inclinazioni ognuno gli darà il contributo della sua saggezza. Cosa deve fare chi è a capo di uomini quando ci sono da affrontare diverse correnti e tendenze? Egli, semplicemente, confida nella saggezza del tempo, si affida alla necessità delle circostanze e lascia che il mondo vada come vuole. Questo è tutto”(cap.6).

Se un individuo, nel suo agire, permette alle sue spontanee attitudini di esplicarsi interamente e liberamente questi è Wu – wei, in caso contrario è Yu – wei.

In un altro passo del Commentario sta scritto: “Un buon conducente deve permettere al suo cavallo di manifestare interamente le sue capacità. Il solo modo per ottenere questo è di lasciargli tutta la libertà di cui ha bisogno… Se egli consente ai suoi cavalli di fare ciò che essi possono fare, non forzando quello lento a correre veloce nè quello veloce ad andare lento, anche dovesse percorrere con questi il mondo intero, essi lo farebbero volentieri. Sentendo che i cavalli debbano essere lasciati liberi alcuni pensano che debbano allora essere lasciati selvaggi. Inoltre, sentendo enunciare la teoria della non – azione pensano che stare sdraiati sia meglio che camminare. Queste persone sono ben lontane dall’aver capito le idee più profonde e nascoste del Tao” (cap.9).

Nonostante questa critica, sembra che i due pensatori non fossero poi tanto in errore nel loro modo di comprendere la profondità e la misteriosità del Tao.

E’ certo, comunque, che Hsiang e Kuo, nella loro personale interpretazione, sono stati molto originali. Hsiang e Kuo dettero anche una nuova interpretazione alle idee di semplicità e primitività dei primi taoisti. Nel loro Commentario scrivono ancora: “Se per primitivo si vuole significare alterato pur essendo egli capace di fare molte cose. Se per semplicità intendiamo non commistione con altre cose, la forma del dragone e le fattezze della fenice sono le più semplici sebbene la loro bellezza superi ogni cosa. D’altre parte anche il pelo di un cane o la pelle di una capra può non essere semplice se le sue qualità vengono alterate o unite a degli elementi estranei”. (cap. 15).

La Cina odierna, “il gigante economico” del ventunesimo secolo ha quasi come, in un certo senso, ripristinato queste idee relative al Tao facenti parte della sua filosofia, del suo pensiero millenario, almeno per quanto riguarda il campo economico o della produttività, appunto. Infatti, una delle multinazionali che opera nel campo dello sviluppo dell’elettronica di ultimissima generazione a livello globale si chiama Wuwei ed è, ovviamente, cinese. Quindi, in conclusione, il pensiero filosofico, trascendentale, anche se vecchio di secoli, se non addirittura di millenni, talvolta (e forse più di una volta e forse neppure per puro caso) può trovare un riscontro (e assai proficuo, in questo caso) anche in un mondo e in una società che, all’apparenza, sembrano del tutto avulsi alle scienze umane e soprattutto al pensiero, alla filosofia, e alla sua storia, che, in un passato molto lontano, hanno creato una civiltà elevata e complessa allontanando l’uomo, il più possibile, dalla barbarie.

Francesca Rita Rombolà

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