Riccardo Duranti ha insegnato a lungo Letteratura Inglese e Traduzione Letteraria presso l’Università La Sapienza di Roma. Ha ricevuto il Premio Nazionale per la Traduzione nel 1996 e il Premio Catullo nel 2014. Ha tradotto l’opera omnia di Raymond Carver e autori come John Berger, Philip K., Dick, Cormak McCarthy, Michael Ondaatje, Nathanael West, Richard Brautigan, Caryl Churchill, Elizabeth Bishop, Henry David Thoureau, Eduard Bond, Kate Tempest e Robert Coover. Tra i suoi libri di poesia: “Bivio di voce” (Empiria, 1987); “The Archer’s Paradox” (The Many Press, 1993); “L’affettuosa fantasia” (Aracne, 1998); “Made in Mompeo”; “Haiku e immagini” (con Rino Bianchi, Corbu, 2007) e “Meditamondo” (Coazinzola Press, 2013). Nel 2015 è uscito il suo primo libro di racconti “L’orsacchiotto Carver e altri segreti”. Vive sui Monti Sabini dove gestisce un uliveto.
Francesca Rita Rombolà e il professor Riccardo Duranti dialogano principalmente sulla letteratura.
D – Professor Duranti, lei ha tradotto in italiano le opere di Raymond Carver; cosa ne pensa di un autore come Raymond Carver? Lo ritiene importante, fondamentale nel panorama letterario anglosassone?
R – Oltre a considerare Ray uno scrittore imprescindibile per il ruolo da lui avuto nel rinnovare e arricchire la tradizione della Short Story, è stato anche un mio grande amico, prima ancora di averlo tradotto. Incontrato per caso (lo racconto in una storia di “L’orsacchiotto Carver e altri segreti”, Ianieri, 2015), ho cominciato a tradurlo iniziando dall’ultimo profetico racconto che ha scritto prima che la malattia lo strappasse troppo presto dalla vita. Le traduzioni seguenti di tutto il resto della sua opera sono state una lunga elaborazione del lutto per una presenza e una voce amica perdute.
D – Ha tradotto anche diversi altri autori dall’inglese, tradurre un autore da una lingua straniera è un pò come, in un certo senso, vestire i panni di quell’autore? Immedesimarsi in lui, immergersi nel suo pensiero e forse anche un tantino nella sua vita?
R – La traduzione non è un’immedesimazione nella vita dell’autore, ma nel suo linguaggio, nel suo contesto culturale. Cosa, allo stesso tempo, sia più facile che che più difficile. Perché, oltre che con l’empatia e l’intuizione psicologica, bisogna fare i conti anche con le esigenze specifiche della propria lingua e del proprio contesto culturale.
D – Nel 2013 ha fondato una casa editrice dal nome un pò strano e curioso, Coazinzola Press, una casa editrice dedita, o dedicata, interamente alla poesia, vero? Ne vuole parlare un pò?
R – Sì, il nome rispecchia la volontà di essere radicati in un luogo. C’è un termine dialettale per indicare un uccellino, la ballerina bianca, molto presente in Sabina, dove vivo, e che ammiro per l’agilità e l’eleganza, ma allo stesso tempo, mediante il termine inglese Press, essere aperti a una prospettiva più ampia, globale. Insomma, i poli del mio linguaggio: dialetto e inglese, mediati dall’italiano. In realtà, dopo aver cominciato con la Poesia, la Coazinzola si è aperta anche alla prosa cercando sempre di presentare, in entrambi gli ambiti, però, linguaggi nuovi e freschi. Dopo diciannove titoli in cinque anni, però, mi sono dovuto arrendere alle strozzature di un sistema che penalizza l’editoria sperimentale e artigianale a favore di quella mainstream e industriale, peraltro in grande crisi anch’essa, per le proprie condizioni e contraddizioni interne. Le radici della crisi, in sintesi, hanno a che fare con il predominio della quantità sulla qualità, della familiarità rassicurante sulla diversità stimolante. Chi non si attiene a certi criteri viene espulso da un mercato tossico dove il profitto viene prima della scoperta anche quando, così facendo, s’inquinano i pozzi e si devasta l’ambiente in cui la lettura curiosa e innovativa trova enormi problemi a sopravvivere, figuriamoci a prosperare.
D – Che cos’è o cosa rappresenta la Poesia, in questo caotico e imprevedibile ventunesimo secolo ancora agli inizi, e cosa è o cosa rappresenta per lei la Poesia.
R – Personalmente la Poesia sta alla prosa come la grappa sta al vino, come le fontane stanno ai fiumi… Ma entrambe sono maniere di testimoniare la propria visione del mondo e di portare un contributo in più alla sua rappresentazione e interpretazione. E attraverso il linguaggio soddisfano, al loro meglio, le esigenze cognitive e ricreative dell’essere umano in termini di sopravvivenza nel mondo. Pescando non solo in superficie, ma anche nel profondo.
D – Un giorno, magari fra cinquanta o cento anni, forse la tecnica prevarrà del tutto sull’uomo; allora la letteratura sarà messa in disparte o scomparirà completamente in quanto disciplina o conoscenza inutile o riuscirà comunque a trovare, diciamo, un compromesso con il dominio assoluto della tecnica e a sopravvivere in forme mutate, nuove?
R – Difficile dirlo, quando la sopravvivenza della stessa umanità, nelle condizioni attuali, è compromessa per la prima volta radicalmente e non si sa bene se tra cinquanta o cento anni esisteranno ancora le condizioni per lo sviluppo della vita sulla terra. In ogni caso, le sorgenti da cui scaturiscono le esigenze conoscitive ed espressive della letteratura e dell’arte sono talmente profonde e connaturate alla natura umana che, in qualche modo, accompagneranno fino alla fine, in forme si auspica sempre nuove, l’avventura umana nel mondo, come del resto hanno fatto fin dall’inizio.
Francesca Rita Rombolà
Riccardo Duranti
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