“Amo molto tutti i libri che ho pubblicato, e li amo nella loro interezza” Conversazione con Piera Mattei, scrittrice ed editore

1 Febbraio 2021

Piera Mattei, dopo una laurea in filosofia, studi e realizzazioni nel campo del teatro e del cinema e una collaborazione decennale alle pagine culturali di testate nazionali e riviste culturali, dal 1991 al 2013 è stata nella redazione della rivista di poesia internazionale “Pagine” per la quale si è occupata soprattutto di critica letteraria e di traduzione di poeti stranieri. Nel 2010 ha fondato le Edizioni Gattomerlino, delle quali è la responsabile editoriale, firmando anche all’interno della sua casa editrice introduzioni, traduzioni, curatele. Negli ultimi venti anni ha pubblicato raccolte di poesie – “L’infinito dei verbi”, Manni, dicembre 2019, è la sesta – raccolte di racconti, libri per l’infanzia, testi di critica letteraria. Ha firmato molte traduzioni di prosa e poesia, in particolare di poeti contemporanei d’Europa e d’America e di classici degli ultimi secoli. Piera Mattei, come poetessa e narratrice, è presente in numerose antologie ed è tradotta in molte lingue: inglese, francese, spagnolo, russo, turco, estone.

Francesca Rita Rombolà e Piera Mattei conversano di poesia, di cultura e altro per poesiaeletteratura.it.

D – Piera Mattei, iniziamo la nostra conversazione per poesiaeletteratura.it con la Poesia, cioè tutto ciò che Piera Mattei ha fatto e fa per la Poesia, e i segreti (e forse anche i misteri) fra lei e la Poesia.

R – Dovrò quindi parlare di me e del mio rapporto con la Poesia? Non mi definisco poeta. Questo, nel caso, spetterebbe ad altri non a me. Io, certo, scrivo poesie, scelgo e pubblico poesie, curo e recensisco poesia (ma non solo). Molte pagine non basterebbero a parlare di questa attività svolta negli anni, ma visto che mi invita a farlo, riveliamo allora qualche piccolo segreto. Come per molti, la Poesia è venuta a visitarmi che ero giovanissima, ma il fatto particolare è che mi suggerì il primo compito in classe. Era il primo giorno del primo anno delle elementari, ed essendo nata a febbraio, ero andata a scuola che ancora non avevo compiuto i sei anni. Il primo “pensierino” dedicato all’autunno, che lasciai su un quaderno a righe grandi e che ormai ho perduto, diceva: “D’autunno cadono le foglie. Io le guardo, penso agli uomini e sorrido”. Questo era quanto sapevo e sentivo dell’autunno. Quando ritrovai quel quaderno, prima di tornare a perderlo in uno dei molti traslochi, ero una donna, ma sentii allora una grande affinità con quella bambina, che sprofondava nella tristezza dell’autunno e della caducità di ogni cosa con un sorriso. Più tardi, ero allora in quinta elementare, durante un periodo di solitudine, mi imbattei, del tutto casualmente, nel terzo volume della Divina Commedia, nel Paradiso di Dante Alighieri. Non so come, il mio desiderio fu di mandare a memoria alcune terzine dell’inizio del primo canto: “La gloria di Colui che tutto muove/per l’universo penetra e risplende … ” . Non che tutto mi fosse chiaro, ma neppure mi era oscuro; l’immensità mi penetrava, il ritmo dei versi mi riempiva di piacere. Ancora oggi Dante rimane per me la Poesia. L’anno scorso, quando fu indetto il Dantedì, per ricordare la presumibile data di nascita del Nostro, ero pronta a leggere, insieme a chi volesse seguirmi, quello che considero il primo romanzo, misto di prosa e versi, “La Vita Nuova”, appunto. Per chi volesse ascoltare questo mio omaggio al sommo poeta, fatto anche con leggerezza e divertimento, almeno mio, riporto qui sotto i link alle cinque brevi puntate di quella interpretazione – lettura:

https://www.youtube.com/watch?v=aBzsgOIJMKo

https://wwwyoutube.com/watch?v=4dorzW_bTkoet=36s

https://www.youtube.com/watch?v=nHSZtQdulE

https://www.youtube.com/watch?v=PAJ8TWdOAAc

Ma uscendo dalle rivelazioni e dai segreti, certamente qui devo ricordare che per venti anni sono stata elemento portante della rivista di poesia internazionale “Pagine”, fondata e diretta da Vincenzo Anania un ex magistrato che si era imbattuto nella poesia nella persona di Amelia Rosselli, e della poesia e di quella poetessa aveva continuato nel culto. Quella rivista era creatura sua e quando, nel 2013, lui ci ha lasciato la rivista non è stata più pubblicata. Ma già prima, nel 2010, avevo fondato la mia casa editrice, la Gattomerlino appunto, che, nata per pubblicare libri di poesia, soprattutto in traduzione da altre lingue, e libri di scienza, si è poi articolata in cinque collane. La collana Poesia Italiana o in Lingua Italiana, che inaguravo nel 2013 con le poesie, in italiano originalissimo, di un autore romeno, è quella che ormai riceve più offerte, direi meglio, è sommersa di proposte. E qui mi fermo, ma non perché non ci sia altro da dire.

D – Il “problema”, diciamo così, del tradurre poesia e del tradurre in genere, se esiste, quale è? E’ rilevante oppure no?

R – Non credo ci siano “problemi” nel tradurre poesie, ma certo ci sono condizioni da predisporre. Si tratta di conoscere il mondo dell’autore che si va a tradurre e non solo la sua lingua. Inoltre c’è bisogno di un ottimo orecchio per quel che riguarda la lingua nella quale si va a tradurre, un orecchio abituato al ritmo della poesia. Dove sia possibile, cioè nel tradurre autori contemporanei, conoscersi direttamente e poter comunicare, anche ricorrendo a una terza lingua comune, sono di grande aiuto. Per quanto mi riguarda, ho finito per intrecciare un profondo legame di amicizia con gli autori stranieri che ho tradotto e pubblicato. Tradurre è un pò come mettersi nella viva pelle di chi si va a tradurre, anche se sappiamo che la Poesia non ne uscirà con la stessa voce perché i suoni della lingua sono diversi. Una traduzione di poesia si meticcia sempre con la lingua del traduttore e anche con il particolare tono della sua voce.

D – La cultura sarà sempre importante per l’uomo e perché? Ma forse non lo è ormai più …

R – La cultura è ciò che distingue l’uomo dalle altre specie animali. E’ il libero gioco della mente. Però il termine cultura è termine neutro, che indica realtà diverse, mai possiamo riferirlo solo ai libri, all’arte visiva e alla musica. Cultura è anche la matematica, cultura sono le scienze della natura, cultura è anche l’arte di coltivare la terra … è tutto quanto l’uomo produce al di fuori della finalità del profitto, ovvero tutto quanto dovrebbe produrre non mirando principalmente al profitto ma per procurare a sé e agli altri il piacere di quello che chiamo “il libero gioco intellettuale”, l’espressione della sua sensibilità e della sua intelligenza. Certo non da oggi il profitto economico allunga le sue mani su questa attività, sull’arte e sulla scienza, e finisce per distorcerne il significato, immettendole in un altro contesto che obbedisce in prima istanza al guadagno.

D – Vuole dire qualcosa su i suoi libri? Su i loro contenuti, sulle loro idee, sulla loro scrittura e sul loro eventuale messaggio al lettore?

R – Amo molto tutti i libri che ho pubblicato, e li amo nella loro interezza. Gelosa come ne sono stata, devo dire che ho perfino forzato un editore restìo ad accettare le mie proposte (miei disegni e foto) per le copertine. Ho pubblicato raccolte di poesie e di racconti, ma anche collezioni di saggi critici. Non mi sono mai provata con il romanzo, ma ritengo che scrivere in una prosa luminosa sia essenziale anche per arrivare a scrivere intensa poesia. Quanto a messaggi, no, non ho messaggi da dare, ma propongo immagini, riflessioni da condividere come, per esempio, nel racconto “Attraversamenti e deserti di gelo” originalmente pubblicato nella raccolta “Melanconia animale”, ora anche nella raccolta “La tromba e la parola”. Al centro di quel racconto c’è l’incontro con una donna che mi parla del figlio nato con la fecondazione assistita e degli altri due ovuli fecondati rimasti per tre anni nel frigorifero della clinica a temperature al di sotto dello zero. Per tre anni ibernati, prima che lei e suo marito se ne ricordassero e decidessero sull’alternativa di eliminarli o di portarli a svilupparsi e nascere. Me ne parla mentre giocano fra di loro: le due bimbe concepite insieme al fratello e venute alla luce tre anni dopo. Ne scrivo con un brivido, ma senza emettere giudizi; non dico cosa è bene o cosa è male ma riporto un racconto che ho sentito di dover condividere perché mi ha colpito e mi ha fatto riflettere.

D – Cosa pensa Piera Mattei della figura dello scrittore e di quella dell’editore nel 2021?

R – Penso spesso che il computer abbia diffuso la voglia di scrivere, e facilmente si arriva a definirsi scrittori. Fino a trenta anni fa scrivere era anche faticoso: battere a macchina, cancellare, ricopiare. Oggi queste funzioni le svolge il computer. Anche spedire è diventato più rapido: basta premere un tasto e un file arriva a destinazione. Completato il libro e trovato il consenso di un editore, c’è la selva dei premi dove bisognerebbe addentrarsi. A me non è mai piaciuto farlo né per i miei libri né per gli autori che pubblico, tranne poche eccezioni. Degli editori non credo si possa parlare in generale. Un editore come “La nave di Teseo”, nato negli ultimi anni, quasi non teme concorrenti perché fondato e gestito da una donna dalla forte personalità e, credo, fornita di notevoli mezzi. Poi ci sono Feltrinelli, Mondadori che da decenni sono “industria culturale” collegati a catene di grandi librerie, con grandi apparati pubblicitari e con grandi capitali. Infine eccomi, ci sono anch’io: c’è anche Gattomerlino che riceve tra mille e duemila proposte l’anno per lo più da parte di voci nuove. Le ascolto, quelle che mi colpiscono le scelgo e le pubblico. Perché, se penso che hanno cose da dire e una voce che ha un buon suono, io sono felice di portarle alla luce, farne quell’oggetto così speciale – che mi piace curare nei minimi dettagli – che è un libro. Posso sbagliarmi, certo, nelle mie scelte. Ma non mi diverte andare sul sicuro, pubblicare voci note.

D – Il futuro prossimo, e anche quello più remoto, avranno una visione della società improntata ad una realtà umanistica globale?

R – Quanto al futuro non sono ottimista. Vede cosa sta succedendo adesso in tempi di pandemia? E come il profitto si insinua tra i prodotti della ricerca e dell’intelligenza umana e la sua utilizzazione a beneficio dei molti? Questo, purtroppo, tende ad accadere sempre più in ogni ambito dell’attività umana. I tempi di Pasteur, che mise a disposizione della medicina il primo vaccino, sono tempi lontani. Certo uno strumento come il telefono cellulare, alla portata di tutti, ha prodotto e continua a produrre un effetto ambiguo. Da un lato elimina l’analfabetismo completo: tutti, più o meno bene, imparano a leggere e a scrivere su un cellulare perché vogliono usarlo, dall’altro i cellulari sono armi nelle mani di chi diffonde una cultura, in molti sensi, “bassa”: giochi d’azzardo che portano assuefazione, sfide pericolose, mortali come abbiamo visto proprio in questi giorni, e mille stupidaggini, e pubblicità fastidiosa ma efficace che induce all’acquisto dell’inessenziale, e si fa perciò diffusore di cattivo gusto e infine di senso di onniscienza e d’onnipotenza. Certo lo sviluppo dell’umanità non è prevedibile. Non lo è mai stato. Nella storia di noi umani la cultura, spesso la parte più influente della cultura, si è trovata associata al potere. E la sete di potere è insaziabile, infinita; anche se, lo sappiamo, noi umani siamo piccoli, tutti destinati prima o poi a finire come individui, o forse anche come specie, e pochi, in una parte infinitesima dell’Universo.

Francesca Rita Rombolà

Piera Mattei

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