Gli oscuri e aurei cancelli dell’Eternità. Per il bicentenario della morte del poeta John Keats

23 Febbraio 2021

Poeta fra i massimi esponenti del Romanticismo inglese, colui che ne ha incarnato appieno i valori, le finalità, le idee, il senso artistico e umano più autentico, John Keats compie oggi, 23 febbraio 2021, i duecento anni della propria dipartita da questo mondo e da una vita brevissima segnata dal dolore ma anche dall’intensità, dalla profondità e dal sublime afflato della poesia.

Venerdì 23 febbraio 1821 è l’ultimo giorno di vita di John Keats. Le sue ultime parole sono rivolte all’amico Severn che lo assisteva sul letto di morte: “Severn Severn sollevami sto morendo, morirò facilmente e in modo lieve, non spaventarti. Grazie a Dio è giunta l’ora …”. Poi un po’ più tardi: “Non respiratemi addosso, sembra ghiaccio”. Morirà alle undici di sera. Due giorni dopo, il 25 febbraio, il dottor Clark, il medico inglese che lo aveva in cura, fa l’autopsia e trova che i polmoni di quel corpo giovane e bello sono completamente devastati. John Keats è morto di tubercolosi ad appena ventisei anni (essendo nato il 31 ottobre 1795 a Finsbury nei pressi di Londra) al pari di altri poeti romantici quali Novalis e Tieck e come gli eroi di un mondo mitico, leggendario, lontano, forse nello spazio forse nel tempo, da loro tutti vagheggiato e cantato. Viene sepolto il 26 febbraio nel cimitero protestante (il cimitero acattolico) di Roma, dove si trova ancora oggi la sua tomba. Era giunto a Roma il 13 novembre 1820 dove, assistito dall’amico fraterno Severn, aveva preso casa a Piazza di Spagna. Sperava molto da questo soggiorno a Roma per quanto riguarda il miglioramento delle sue condizioni di salute, ma la malattia era ormai in fase avanzata, e il clima mediterraneo della città eterna non gli ha dato la sospirata guarigione né tanto meno un’esistenza più prolungata, anche se fra non poche sofferenze.

Chi è John Keats? John Keats è l’autore dei capolavori letterari “Otho The Great”, “Lamia”, “The Fall of Hyperion”, “To Autumn”, “Endymion”, “Ode to a Nightingale” tanto per citarne alcuni. Si ha nella poetica di John Keats il connubio fra natura e cultura classica, fra il bello naturale e l’opera d’arte greca. Il poeta percepisce la natura tutta come una sorta di storia “al di fuori del tempo”, cioè quel che qualitativamente contraddistingue il bello della natura è che in esso parla e si manifesta ciò che l’uomo non ha mutato, trasformato con la sua opera; vi parla e si manifesta un’allegoria che non può essere avvicinata a nessuna soggettività e che per questo è, appunto, vista, sentita, percepita, vissuta pienamente come parola, o canto, dell’Origine proprio come si dava nel mito greco. La grandezza e la genialità della poesia di John Keats forse stanno tutte in questo. Vi è ancora nella sua poesia l’esplosione esuberante della vita che contiene in sè la morte quale completamento di un ciclo inesorabile eppure necessario, portatore ed elargitore dell’immortalità quale dono sicuro che non ha nulla di umano ed è approdo a quei lidi luminosi e misterici che conducono alla dimora degli dei olimpici. Il poeta John Keats, con la sua breve e folgorante esistenza, è stato verbum, parola vivente che nella massima della Grecia degli dei e degli eroi, “sol chi è gradito agli dei muore giovane”, ha condensato e plasmato il suo essere nel mondo. Un attimo appena il suo cantare quanto un battito di ciglia o di ali di farfalla, ma che gli ha spalancato gli oscuri e aurei cancelli dell’Eternità.

I versi finali di “Ode to a Nightingale”, “Ode a un usignolo” di John Keats:

“(…) Deserte! Come una campana risuona questa parola

Che mi riporta alla mia solitudine.

Addio! L’immaginazione non può più illudermi,

Come si dice sia solito fare quest’elfo ingannevole.

Addio, addio. Il tuo canto doloroso svanisce

Oltre i prati vicini, oltre il fiume quieto,

Al di là del colle – ed è sepolto adesso

Tra i boschi della valle vicina.

E stato un sogno soltanto? O una visione?

La musica è svanita: – dormo? O son sveglio?”

Francesca Rita Rombolà

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