Per chi non sa cosa sia l’arabesco, proprio in due parole, cercherò di darne la definizione base più semplice, e cioè l’arabesco è un ornamento minuzioso quanto particolare, delicato e tuttavia intricato, bello e di una nudità assoluta e disarmante e tuttavia di una complessità quasi labirintica. L’arabesco è, in un certo qual senso, il linguaggio dell’arte islamica, infatti viene utilizzato fin dalle origini da tale cultura e da tale civiltà per abbellire e decorare moschee, palazzi, cupole, porticati, sale e ogni sorta di luogo – incontro frequentato e abitato dall’uomo. Le forme dell’arabesco sono di vari colori, anche se l’arte più elevata e più profonda predilige l’azzurro intenso, il giallo oro e il verde naturale, le sue geometrie creano e compongono, si rincorrono e si ritrovano giusto per trasmettere all’osservatore, perfino al più distratto e indifferente, un senso di serenità e di armonia che sembra affondare le proprie radici nell’Universo invisibile agli occhi della materia. L’arabesco si compone anche di elementi calligrafici oltre che architettonici e geometrici, ne sono un esempio i caratteri cufici della scrittura araba inventata per il medesimo scopo e per completare una visione d’insieme che abbraccia veramente il Tutto. Che sia la foglia o il fiore a comporre l’arabesco e talvolta a predominare sull’altro ciò che vi traspare è quasi sempre un senso di forza e di potenza che vuole sconfiggere la morte per affermare la pienezza della vita e l’immortalità tanto desiderata e cercata dall’essere umano di ogni tempo.
Questo breve exursus introduttivo sull’arabesco per tentare di scrivere sulla silloge poetica di Dario Lodi “ARABESCHI – Poesie alla ricerca di un perché e di un chissà”, silloge particolare, precisa e nuda a un tempo, complessa e semplice insieme che all’arabesco si ispira e dall’arabesco prende spunto per veicolare il suo messaggio sotteso quanto profondo e a tratti dolorosamente esistenziale capace di coinvolgere l’intero essere che voglia inoltrarsi in esso per capire qualcosa della realtà e dell’irrealtà, dell’esistenza e del mondo. L’atemporalità segue il filo sottile di una forma stilizzata, che getta lo sguardo nell’intreccio e nel rincorrersi svelto e spesso inverosimile dell’arabesco poetico. Una poetica essenziale, umana e sovrumana avvolge e si riflette, si eleva e si abbassa sicura di sapersi muovere nei paradisi e negli inferni dell’anima, nel suo conscio come nel suo subconscio lampi e momenti di dispersione nei quali serpeggia di già l’unità futura che li saprà conciliare. La sofferenza endemica del poeta, la sublimazione del suo dolore innato attraverso il linguaggio che incide e crea, crea ed incide, ornamento dell’essenza luminosa dell’umanità perduta e lontana dal Divino e alla ricerca, spesso affannosa e febbrile, dell’immortalità. Forme geometriche in versi, la forma geometrica del verso cesellata, che lascia incantati e avvolge nella sua nube di mistero e di bellezza al pari della volta di una moschea, del colonnato di un giardino esotico o di una sala nascosta delle abluzioni.
“Le cose/dolcemente piegate/dal pensiero./Finalmente l’occasione/di saperle docili/e ferme/nella mente/in un angolo di/contemplazione/infinita”. L’arabesco N. 7. “Poter/essere nel tempo/e nelle cose/come schegge/conficcate sino/in fondo”. L’arabesco N. 22. E poi anche l’arabesco N. 34. “Il giorno è malinconia./L’aria è sospesa su/rivelazioni e minaccia/grigiori infiniti./non c’è speranza/neppure nella speranza?”. E l’arabesco N. 75. “Di nascosto/si potrebbe dire che questo/subire gli eventi è una/fatica sovrumana./Si preferisce soffrire in/silenzio/e dire che tutto va bene/anche il proprio arcano/dolore”. Una silloge poetica davvero ardita “ARABESCHI” di Dario Lodi, che lascia senza fiato e dona arricchimento interiore mentre stimola le più oscure e impellenti domande di senso nel dilemma che le accompagna. Dal finale di GRANDE ARABESCO, l’ultima parte della silloge poetica: “( … ) Può l’immaginazione scombinare le regole/di un gioco sconosciuto?/E perché vuole/comunque farlo? D’altro canto, assenza di/tentativi determina la prevaricazione di una/resa insopportabile a quel che potrebbe/essere nulla./Ovvero, nulla senza essere,/cioè vuoto assoluto, niente. Che senso/avrebbe danzare sul nulla, nel nulla? Il problema vero sta nell’arabesco, sta/nel labirinto. L’arabesco è da preferire in/quanto consente la liberazione di fantasie/che hanno possibilità di rivelare qualcosa,/di dare una direzione alle cose dopo averle/indagate a fondo sia con l’intuizione/ (pressoché infallibile) che con il ricorso alla/ragione, pur se dannatamente convinta della/propria capacità analitica. La dannazione deriva dalla matrice fisica della razionalità,/adottata senza alcun tentennamento. Essa/tende a minimizzare l’operato sentimentale, a mettere il sentimento in una posizione di/debolezza. L’aritmetica più affidabile della/fantasia? Ma la prima inanella problemi,/mentre la seconda da soluzioni coraggiose, inaffidabili però costruttive”. Drammaticità e solennità dell’esistenza, ma al culmine della pienezza di vita.
Francesca Rita Rombolà
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