Amos Gitai e il suo modo sovversivo di fare cinema

3 Giugno 2022

PARIS, FRANCE – OCTOBER 27: Israeli Filmmaker Amos Gitai poses at the Ministere de la Culture after being awarded the Chevalier De L’Ordre National De La Legion D’Honneuron on October 27, 2017 in Paris, France. (Photo by Bertrand Rindoff Petroff/Getty Images)

“Il cinema può essere un modo sovversivo di ricomporre un aspetto inedito della realtà”.

Sono parole del regista Amos Gitai. Amos Gitai è nato ad Haifa, in Israele, l’11 ottobre 1950. Il documentario che lo ha fatto conoscere nel suo paese e all’estero, “Bayit” (1980), racconta l’espropriazione dei beni dei palestinesi da parte degli israeliani attraverso la storia di una semplice casa nei dintorni di Gerusalemme. Del 1982 è il documentario “Yoman Sadeh” a causa del quale il regista lascerà il proprio paese. Nello stesso anno, Amos Gitai si trasferisce a Parigi e continua a girare documentari. Nel 1989 realizza “Berlin – Jerusalem”, un film ambientato nella Berlino del primo Novecento, che ribalta parecchi luoghi comuni sulla questione palestinese. Ritornato in Israele, fonda una scuola di cinema che collabora con l’università di Bir Zeit. Nel 2000 esce il film “Kippur”, ben ventisette anni dopo l’inizio della famosa guerra del Kippur. Nel 2001 Amos Gitai realizza “Eden” nel quale racconta, in tempo reale, l’opera dei soccorritori dopo un attentato kamikaze a Tel Aviv. Ancora una volta, il dolore di un popolo vuole divenire dolore condiviso e mostrare come gran parte del mondo soffra per conflitti e drammi di ogni genere non risolti. L’episodio appare stilisticamente perfetto, contraddistinto dall’uso sapiente dei piani – sequenza e della macchina a mano che lo rendono ancora più drammatico e coinvolgente, dando l’impressione allo spettatore di vivere in prima persona gli eventi terribili che si svolgono per le strade di Israele.

Per Amos Gitai il cinema è al servizio della realtà, che è sempre un qualcosa di complesso. E’ importante per comprenderla meglio, quando è buon cinema. La vita è quasi come un film girato in un sito archeologico dove ognuno ha degli strumenti per scavare: la memoria (personale, familiare, collettiva), la conoscenza della Storia, le tracce del passato. Il cinema non deve (o non dovrebbe) mai diffondere odio né fare la caricatura dell’altro. In questo senso, il lavoro del regista non dovrebbe mai essere troppo facile e semplificare la realtà con facilità scontata, altrimenti egli rischia di diventare “strumento” di una macchina da guerra che purtroppo, in Medio Oriente, sembra inarrestabile. La guerra del Kippur ha cambiato molto la visione delle cose di Amos Gitai, infatti le sue prime immagini, girate con una cinepresa super 8, sono state quelle delle sue missioni militari in elicottero. Ironia della sorte, il giorno del suo ventitreesimo compleanno, l’11 ottobre 1973, Amos Gitai stava andando a recuperare un pilota di caccia militare abbattuto sulle alture del Golan, quando un missile siriano ha colpito l’elicottero sul quale viaggiava. Il pilota dell’elicottero è riuscito ad atterrare, e Amos Gitai se l’è cavata con un pezzo di lamiera piantato nella schiena! Dopo simili esperienze qualunque uomo o donna può cambiare le sue convinzioni o visioni circa la società, la politica, l’arte, la cultura ecc. ecc. e voler cercare, conoscere, scandagliare ogni cosa per capire sempre di più il destino dei popoli e dell’uomo imbrigliato spesso in strumentalizzazioni ambigue dettate da singole e oscure circostanze e contraddizioni e dalla Storia in generale.

Francesca Rita Rombolà

 

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