“L’essere regista dei miei lavori, spesso mi ha dato modo di essere anche uno degli attori”. Conversando con Carlo Giuseppe Trematerra, regista e attore

3 Febbraio 2023

Carlo Giuseppe Trematerra nasce a Napoli il 10 novembre 1987. E’ attore, regista e sceneggiatore. Il suo primo vero contatto con il palcoscenico avviene nel 1996. Nel 2000 entra a far parte, come attore stabile, nella compagnia “La Maschera di Napoli”. Oltre che per il teatro la sua passione è anche per il cinema, infatti partecipa a cortometraggi per i quali collabora come attore, produttore, montatore, aiuto regista, tecnico del suono, sceneggiatore e regista e vince alcuni premi. Partecipa anche a molti videoclip musicali. Nel 2014 è il primo classificato al Festival Cinema Talent. Nel corso degli ultimi anni realizza lavori quali “Il servizio buono” e “Storia di un ragazzo comune”. Interpreta il ruolo di Lino, l’inserviente, in “Un posto al sole” per Rai3. Via via prende parte alla fiction “Sotto copertura” e “L’amica geniale” per Rai1. Nel 2016 Carlo Giuseppe Trematerra realizza il lungometraggio “Il caso Salice”, uscito di seguito in Italia e all’estero.

Francesca Rita Rombolà conversa con Carlo Giuseppe Trematerra di cinema, di teatro e di poesia.

D – I tuoi inizi di attore di teatro in una realtà composita e propensa al teatro come quella di Napoli, l’essere nato in questa città e aver mosso i primi passi di artista in essa cosa ha significato per te?

R – L’essere nato a Napoli, soprattutto a cavallo degli anni ’80/’90 del secolo scorso, mi ha dato la possibilità di far parte di una generazione ancora amante del teatro, e dove gli ultimi mostri sacri della commedia classica della tradizione, Luisa Conte e Nino Taranto, riuscivano ancora a fare sold aut. La passione in quell’epoca spesso veniva tramandata dai genitori, dai nonni, e soprattutto il periodo era privo delle distrazioni che abbiamo oggi. Quindi, nascevano nuove compagnie teatrali dilettantistiche che riuscivano ad essere una scuola per ogni aspirante attore. La vera scuola era quella: il palcoscenico. Si provava cinque mesi l’anno per un debutto di sole due o tre repliche. Si iniziava la serata con il montare le scene prima del debutto per smontarle subito dopo lo spettacolo, ancora vestiti con gli abiti di scena ed il viso sporco di cerone. I ragazzi di oggi hanno troppa fame di successo ed hanno una frenetica ed individuale fruizione delle cose, che lascia ben poco spazio al teatro.

D – Cosa si prova ad essere dietro la macchina da presa, cioè come regista, e cosa davanti alla macchina da presa, cioè come attore?

R – L’essere regista dei miei lavori, spesso mi ha dato modo di essere anche uno degli attori. Davanti alla macchina da presa non mi piaccio mai, ecco perché preferisco stare dietro la camera. Quei pochi momenti in cui sono io ad essere ripreso, preferisco essere diretto da un altro regista. Amo dirigere, amo veder prendere forma quello che c’è scritto nella sceneggiatura, convertire in immagini quello che un soggettista e uno sceneggiatore hanno prima pensato e poi scritto.

D – Il tuo lungometraggio, “Il caso Salice”, ne vuoi parlare un pò?

R – “Il caso Salice” nasce nel 2015 da una sceneggiatura scritta da Antonio Scardigno, e solo per una strana fatalità arriva al pubblico nel 2020 in piena pandemia Covid 19, considerando che l’argomento del film è un terribile virus letale per l’uomo. Grazie all’incremento dello streaming, in quel periodo il film è riuscito a farsi spazio anche e soprattutto all’estero sulle piattaforme Amazon Prime Video (Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Austria) e Shinema.club (Italia e resto del mondo). Il film è stata una fatica enorme, considerato il bassissimo budget utilizzato e la gran quantità di persone da gestire. E’ stato quasi un miracolo iniziato nel febbraio del 2016 e concluso nel settembre 2019. Anni di lavoro, per fortuna, ci sono stati ricambiati con grandi e piccole soddisfazioni come vincere premi, ricevere menzioni speciali e partecipare ai David di Donatello.

D – Progetti per il futuro prossimo? Magari un film speciale o particolare?

R – Quest’anno ho presentato ai David due miei cortometraggi: “La scelta”, scritto da Antonio Scardigno, e “Il ritorno di Claudio Camberra”, un’idea di Antonio Bilangia, e scritto insieme. Per il futuro c’è in programma “Piramide”, ovvero il sequel de “Il caso Salice”; siamo in cerca di una Produzione, quindi simpaticamente dico: qualora ci fosse un produttore tra i lettori di poesiaeletteratura.it si faccia avanti.

D – Cosa ne pensi della poesia e dei poeti?

R – Per me i poeti hanno una sensibilità pazzesca: riescono a racchiudere concetti, discorsi, sensazioni, paure, dolori e amori in poche essenziali parole. Amo tanto la Poesia, qualche volta mi sono dilettato a scriverne qualcuna (“ma non bene bene come i poeti”, per citare una frase di Massimo Troisi ne “Il postino”); amo quelle di Totò e di Eduardo De Filippo, per rimanere nella tradizione partenopea. Ma credo che la poesia più bella che io potessi leggere è scritta negli occhi di mia moglie, che ogni giorno è al mio fianco paziente di questa mia passione.

Francesca Rita Rombolà

Carlo Giuseppe Trematerra

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