L’ikebana è un’arte molto antica che ha saputo trovare in ogni epoca, avendo alle spalle più di mille anni di storia, la dimensione della realtà contemporanea per la sua straordinaria capacità di esprimere la vita nella sua totalità. Le prime composizioni ikebana furono create da un nobile della corte imperiale nipponica, Ono – No – Imoko, inviato presso l’impero cinese dove aveva appreso l’arte della disposizione dei giardini. Rientrato in patria e divenuto monaco buddista, diede inizio alla tradizione del famoso giardino giapponese, con i tipici laghetti e ponticelli in legno che tuttora lo caratterizzano. Le dimensioni delle prime creazioni ikebana erano enormi, avendo i monaci buddisti a disposizione spazi molto vasti. Esse, infatti, potevano anche raggiungere i sei metri di altezza, come è testimoniato dai basamenti in legno ancora esistenti. Per questo l’arte della composizione floreale ikebana fu praticata a lungo solo dai monaci buddisti e da quei nobili che avevano iniziato ad apprezzarla: i palazzi e i grandi templi erano gli unici edifici a poter contenere queste grandi creazioni – composizioni floreali.
Nell’ XI secolo (epoca kamakura) la casta militare (i samurai) prese il potere nella corte imperiale del Giappone, per cui lo stile di vita spartano del guerriero samurai influenzò anche l’ikebana; le composizioni divennero quindi più semplici e più piccole, e fecero il loro ingresso nelle case. Nelle case dei guerrieri samurai furono erette le “tokonoma”, ossia “nicchie nelle pareti” che ospitavano piccole composizioni ikebana dietro le quali era sempre appeso un dipinto detto “kakemono”, “cosa appesa”. Lo straordinario sviluppo culturale di questo periodo è testimoniato dalla nascita, contemporaneamente, della cerimonia del tè, del teatro del No, dell’architettura Shoin e dall’arte dei giardini. Un maestro del tè di questo periodo, Ippo, scrisse il famoso “Sendensho”, il primo libro sull’ikebana, in cui spiega come disporre fiori per occasioni speciali a seconda delle stagioni dell’anno. Gli stili dell’ikebana sono il rikka, il nageire, lo shoka, il moribana.
Mai e poi mai nell’arte dell’ikebana i fiori si dispongono a caso: la composizione deve essere sempre una triade, cielo – uomo – terra, della quale il ramo più alto rappresenta il cielo, quello al centro l’uomo, il più basso la terra, in quanto simbolicamente il cielo, l’uomo, la terra sono in stretta simbiosi e in naturale armonia. E’ questo, per la tradizione giapponese, il concetto di asimmetria universale, cioè il vuoto che deve essere riempito per generare il movimento, che è vita. Tale movimento ciclico, il quale sta alla base delle leggi che regolano l’Universo, si esprime, appunto, nella natura ternaria “cielo – uomo – terra”: l’uomo sta al centro tra il cielo e la terra, è sorretto dall’elemento terrestre, dove affonda le proprie radici, ed è nutrito dall’elemento sottile (cielo). In tal modo è unito al cuore del “Tutto”, è il mediatore tra la dimensione spirituale e quella terrena, e il Tutto forma un’indivisibile triade nell’unità cosmica.
Nell’ikebana vale questo stesso principio: nella sua composizione la mano dell’uomo è guidata dalla stessa forza che fa crescere la pianta la quale scaturisce direttamente dal Divino. Quando crea il proprio piccolo universo vegetale, colui che pratica questa antica arte non fa altro che riprodurre il ciclo completo della Creazione, lo sbocciare della vita e il suo dissolversi, tutto ciò che si lega e si scioglie. Il popolo giapponese ha un rapporto particolare con la natura. Il trascorrere del tempo attraverso le stagioni dell’anno, lo sbocciare e l’appassire dei fiori, la caduta delle foglie possono diventare autentiche “poesie visive” che mettono in comunicazione con l’Assoluto. Se si entra in questo semplice ma affascinante ordine di idee, l’antica arte giapponese dell’ikebana diventa accessibile al nostro tempo post – moderno e alla nostra casa occidentale. Infatti, nelle modernissime città giapponesi, che quasi nulla conservano – almeno esteriormente – dell’antica tradizione e vivono completamente i ritmi di vita occidentali, l’ikebana è parte integrante della vita quotidiana. Negli alberghi e nei grandi magazzini si organizzano mostre, negli uffici delle grandi compagnie multinazionali sono visibili bellissime composizioni, le industrie organizzano corsi per i propri dipendenti e naturalmente quasi in ogni famiglia c’è chi pratica quest’arte, che è anche materia di studio nelle scuole giapponesi.
La traduzione letterale della parola “ikebana” dal giapponese è “composizione di materiale vegetale vivo”; il fiore non è, come nelle composizioni occidentali, l’unico o il principale elemento ma è inserito in una struttura che prevede la presenza di rami verdi e secchi, canne, erbe, radici, tronchi, sassi e infinite altre cose. In genere, per noi occidentali, la composizione floreale rappresenta solo un modo per esprimere dei sentimenti, non per attivarne il flusso, cosa che invece fa l’ikebana quale autentica forma d’arte. La ridondanza e l’abbondanza che caratterizzano le composizioni floreali occidentali riempiono gli occhi di una vera esplosione di colori, che mortifica, però, i singoli elementi. L’ikebana, al contrario, pone fra i suoi principi fondamentali la ricerca della semplicità la quale mira a far risaltare la curva armoniosa di un ramo o la linea flessuosa di un gambo.
In conclusione, l’ikebana, estremo esempio di fugacità (i fiori durano solo pochi giorni), rappresenta l’unità di tutti gli esseri viventi nell’eterno scorrere del tempo, in particolare il fiore deve essere curato con grande amore nei pochi giorni della sua esistenza. Colui che crea l’ikebana si annulla nello stesso ordine cosmico nel quale, per un attimo appena, egli vive l’unità di tutti gli esseri; la caducità delle cose rappresenta il cambiamento, tutto passa in fondo: l’uomo, il fiore, le società e le civiltà umane.
Francesca Rita Rombolà
Nessun commento