La poetica del vento

23 Luglio 2024

Soffia il vento. Il vento caldo del Sud. Il vento caldo, da un mare Mediterraneo da sempre e sempre, nella sua storia plurimillenaria, protagonista di tragedie e di rovina, di conquiste, di vittorie e di sconfitte, di flussi e di riflussi, di rotte avventuriere o meno per i molti popoli che si affacciano, con le coste dei loro territori, sulle sue onde azzurrissime talvolta quiete talvolta in tempesta.Soffia il vento. Dalle isole Eolie. Le antichissime isole del vento, dove un dio caparbio e irruento (Eolo, dio dei venti per i popoli preellenici ed ellenici), che ha il dominio sui venti di ogni direzione, risiede ancora nella sua strana dimora surreale fatta di vento e di venti che si dipartono in ogni angolo del pianeta.

Ho imparato, fin da piccolissima, a conoscere “questo” vento che soffia sempre dal mare, sale dal promontorio di Capo Vaticano e si concentra in grandi masse proprio sulle colline soffiando molto forte per giorni, fino a quando cessa improvvisamente per lasciare soltanto una flebile memoria del suo passaggio. L’ho odiato (e lo odio) ma soprattutto l’ho anche amato (e lo amo). Oggi penso che forse non sarei riuscita a scrivere molte delle mie poesie senza la sua esistenza e senza la sua presenza. Ho respirato il vento. Ho vissuto pienamente il suo soffiare, e questi si è intrecciato quasi indissolubilmente al mio poetare. Spesso all’alba, o poco dopo, o al tramonto, o poco dopo nel rosso e lungo crepuscolo dai lembi rosei, la mia penna si è mossa svelta e sicura sul foglio bianco e il suo fruscìo, prodotto dal contatto con la carta, è stato l’unico rumore nel silenzio dell’ora. Il vento (leggero o forte) l’unica presenza ispiratrice di una parola, di un concetto, di un’idea che poi prendevano lentamente forma e si mostravano in un verso poetico conciso e piuttosto preciso. Altre parole, altri concetti, altre idee con il soffiare del vento che portava la fragranza dei fiori selvatici in maggio; un profluvio di profumi, di odori, di sentori forti e corroboranti in estate; la dolcezza di una danza di colori e foglie in autunno; il riposo e la nudità semplice dei campi in inverno. E nasceva una poesia … un intero componimento lungo o breve, con un titolo o talvolta senza titolo.

La percezione del vento crea magia e incanto, perché il vento è prima di tutto respiro: il respiro della terra profonda e del cielo alto; il respiro della terra scura e fertile che abbraccia e consola come una madre nei momenti di angoscia, di tristezza, di dolore; il respiro del cielo dorato e azzurro che rinnova l’anima e lo spirito i quali anelano, in modo latente o palese, al Divino o quantomeno a un senso di elevazione che la condizione terreste non potrà mai donare. Il filosofo francese Gaston Bachelard ha intuito per primo la poesia profonda che sottende ai quattro elementi, cioè la Terra, il Fuoco, l’Acqua, l’Aria (o il vento), stigmatizzando su ciascuno di essi una propria poetica vivamente condensata nella reverie (percezione o anche visione e intuizione) manifestantesi sia in un regime psichico notturno sia diurno, che porta essenzialmente ad una conoscenza davvero nuova e originale della poesia, della natura e delle pulsioni inconsce del genere umano.

Il vento, oltre ad essere respiro vivente, è voce. Voce che, in senso figurato, non ha direzione di provenienza né di destinazione: non sai da dove viene né dove va, e per questo è una voce al di fuori dello spazio e del tempo, una voce sublime la cui essenza sa di mistero … e forse seguendola conduce al Mistero. E’ voce. E porta voci lontane nel tempo e nello spazio. Voci che non si sono mai disperse e che conservano intatta la memoria che gli esseri umani, nella loro frenesìa quotidiana, non recepiscono e non conservano quasi più.

Nei deserti ardenti di sabbia gialla e di roccia rossa il vento modella, costruisce e disfa, cambia il paesaggio e muta gli assetti naturali; in una parola, il vento gioca, e la sua attività ludica è spesso potente, imprevedibile e inesplicabile, bizzarra e fuori dal comune come l’esistenza del poeta e della penna che egli tiene in mano e fa scorrere sulla carta nel mentre il vento avvolge la sua persona tutta, interiormente ed esteriormente. Il vento è ascolto. E produce ascolto. Un ascolto molteplice, ma decisamente unico. Un ascolto che mette in contatto con il gemito (di piacere, di gioia o di dolore, di rabbia o di risentimento) della natura.

Potrei dire, a questo punto, di aver tracciato, in estrema sintesi, un abbozzo di “poetica del vento” (sì credo che così l’avrebbe definita Gaston Bachelard, citato prima) in quanto, e perché, il vento scrive e riscrive le pagine non facili della psiche stimolandone quelle parti (o componenti) più inerti, più oscure, ancora inesplorate e perciò sconosciute a prendere vita, ad attivarsi e (perché no?) a venire alla luce proprio per fare luce, chiarezza su certi vissuti, traumatici e non, dell’infanzia, dell’adolescenza e anche dell’età adulta.

… Sto ascoltando il vento ma non è l’alba, è uno splendido tramonto in cui il sole, una grossa arancia infuocata, scende lentamente dietro le gobbe saurine delle isole del vento, laggiù nel controverso e mitologico orizzonte d’Occidente. Un altro giorno è trascorso, con le sue gioie e le sue pene. Ma domani, all’alba o giù di lì, il vento inizierà sempre di nuovo il suo cammino verso il mondo e … verso la sensibilità e la capacità di ascolto di ciascuno.

Francesca Rita Rombolà

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