Il 4 novembre di ogni anno, l’Italia celebra l’anniversario della vittoria della guerra del 1915 -1918, cioè la Prima Guerra Mondiale, dedicando questa giornata alle proprie Forze Armate che di quella vittoria sono stati i principali artefici. La guerra del ’15 -’18 ha cambiato gli equilibri politici e sociali che fino ad allora avevano retto l’Europa per secoli. Ma non solo: per la prima volta si fece uso in guerra di armi nuove e potenti frutto del progresso e della scienza applicata alla pratica che, seppur ancora agli inizi di un’età che li avrebbe visti quali indiscussi protagonisti e detentori del destino di milioni di uomini, si mostravano già, in quella tragica occasione, capaci di rivoluzionare il pensiero e la vita quotidiana di ognuno. Ciò cambiò perfino il modo di combattere. Infatti, migliaia di uomini morirono ogni giorno, per tre lunghi anni, nel fango delle trincee sulla linea del fronte o nei campi formati da immense radure,”falciati” come grano maturo da micidiali gas asfissianti, altra “conquista” dell’era del progresso da poco iniziata. Da tempo ormai, le nazioni europee si preparavano quasi a questa grande deflagrazione, a questo “bagno di sangue”, come è stato definito dagli storici, che ha portato conseguenze nel mondo per tutto il secolo ventesimo da poco trascorso. La società del primo decennio del secolo scorso era una società in fermento, scossa da tumulti, da lotte, da idee di cambiamento e da rivendicazioni popolari di ogni genere. Si può dire che l’idea di una guerra che coinvolgesse, per la prima volta, tutti gli Stati, gli Imperi e i Regni era come se “fosse nell’aria”, e spesso l’atmosfera culturale che si respirava ovunque sembrava quasi volesse inneggiare ad un grande conflitto imminente. In Italia, ad esempio, il famoso movimento culturale di quegli anni denominato FUTURISMO vedeva in una grande guerra la sola possibilità per aprire le porte ad un futuro nuovo fatto di progresso per tutti e ad una civiltà completamente scissa da ogni tradizione. Nel principale manifesto del FUTURISMO, il membro più importante del movimento, il poeta Filippo Tommaso Marinetti, dichiarava di invocare “la guerra quale unica e sola igiene del mondo. Di un mondo ormai vecchio e sorpassato che guarda al futuro potente e radioso costruito per mezzo del progresso tecnico e della fede nella scienza.” Per l’Italia, la vittoria nella guerra del ’15 -’18 è stata molto importante in quanto per la prima volta dopo l’unità, avvenuta poco meno di cinquanta anni prima, essa è stata partecipe di un evento fondamentale a fianco delle grandi potenze europee giocando un ruolo di protagonista. Cosìcchè, il suo orgoglio nazionale di giovane regno da poco formato ne uscì rafforzato e contribuì, anche e soprattutto, all’unificazione delle coscienze e del senso di appartenenza nell’essere cittadini italiani uguali e liberi, al nord, al centro e al sud dell’intera penisola. Fu così che, nelle trincee come sui campi di battaglia, l’operaio della fabbrica del nord combattè fianco a fianco col commerciante del centro e col contadino del sud con pari dignità e con la forte motivazione di far parte tutti di un’unica nazione proiettata con orgoglio verso le generazioni a venire.
La Prima Guerra Mondiale ha portato sconvolgimenti e dolore, lacerando i cuori e le coscienze. Si può dire che è stata una vera e propria tragedia, una specie di shock emotivo e sentimentale collettivo, che ha sconvolto, dilaniato, distrutto, abbattuto. Il poeta Giuseppe Ungaretti(1888-1970), una fra le principali voci dell’Ermetismo italiano (movimento letterario che ha coinvolto soprattutto la Poesia. Deve il suo nome all’essenzialità e alla laconicità del verso, quali sinonimi di “chiuso”, “ermetico”) forse ha risentito più di ogni altro intellettuale del suo tempo del dramma della Grande Guerra: della carneficina immane e senza precedenti che ha apportato, della sofferenza che ha causato, degli aspri combattimenti su passi di montagna e cime innevate che l’hanno caratterizzata. SONO UNA CREATURA, lirica quanto mai originale, è tratta da L’ALLEGRIA( 1914-1919) che raccoglie le poesie il cui tema è proprio la guerra del’15-’18. E’ l’esempio più tangibile di una poesia disperatamente interiore, sofferta, subita, tremore intenso dell’anima di fronte alle catastrofi della vita. La realtà improvvisa e quasi imperiosa della guerra dispone l’animo del poeta al ritrovamento della propria umanità fondamentale; ad un ascolto intenso e profondamente toccante dal quale affiora, nudo e scarno, il lamento della creatura nell’Universo vuoto privo di suoni e di fermenti vitali. San Michele del Carso è un’altura sopra Gorizia per la cui conquista si combattè duramente nella Prima Guerra Mondiale sia da una parte che dall’altra (quella italiana e quella austriaca). In essa Ungaretti vede un’aridità forse non solo naturale, ma che si caratterizza nell’ampia risonanza del proprio dolore. La serie di aggettivi che fa da contrappunto al verso e vuole dare una descrizione piuttosto precisa e completa della pietra rimarca la contrapposizione-fusione di un dolore senza lacrime, divenuto duro e impietrito. Allora, in tale clima di dramma e di disumanità, la morte appare come una liberazione eppure è, in fondo, un beneficio che si paga in anticipo giorno dopo giorno, ora dopo ora, con la sofferenza e il tormento. La punteggiatura, del tutto assente nella poesia, insieme all’avverbio di comparazione iniziale e centrale, sottolinea la carica emotiva del poeta e il momento traumatico che sta vivendo: un impeto gelido e chiuso, che tuttavia sgorga ed inonda silenziosamente.
LA GUERRA DI PIERO del cantautore Fabrizio De Andrè, oltre ad essere una delle sue canzoni più conosciute, è forse anche una delle più belle, più emotivamente sentite, di maggiore denuncia della guerra… di tutte le guerre. Si riferisce proprio alla Grande Guerra del ’15-’18, raccontando, in versi e in musica, del rifiuto interiore degli uomini ad ammazzare e a farsi ammazzare nelle trincee gelide o infuocate; sulle vette e nelle gole rocciose; a vedere cadaveri di soldati trascinati dalla corrente nei torrenti giù a valle; raccontando ancora della paura, che in guerra può spingere anche a passare le linee nemiche e a disertare; degli attimi di esitazione di fronte a un soldato nemico, che sono sempre fatali perchè in guerra la pietà non è permessa. Ma nel ritornello, infine, la pace è raggiunta per mezzo del sonno eterno della morte nel seno fertile della Madre Terra fra le spighe, mature o ancora in erba, di un campo di grano, dove gli unici fiori che possono spuntare e crescere non saranno mai le rose o i tulipani, simboli dell’amore e della gaiezza, ma i papaveri rossi segno eminente di oblìo e di eterna pace.
Francesca Rita Rombolà
SONO UNA CREATURA
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
Poesia tratta da “L’Allegria”(1914-1919) di Giuseppe Ungaretti
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