“In mezzo a fiori di croco – accanto e tra essi – appaiono due figure con le mani sollevate. Esse sono caratterizzate unicamente da questo gesto. Tale gesto è ben noto come atto di adorazione attraverso l’arte orientale antica. Chi viene adorato? Quale apparizione divina? O sono forse le stesse figure che compiono il gesto di esseri divini in atto di apparire? Nel campo di crochi ha luogo un’epifania, che noi non riusciamo a collegare con alcun nome.(…) Il loro gesto risponde non soltanto all’epifania, ma anche al gesto dell’epifania. I gesti che si compiono nell’esperienza visionaria di una epifania sono gesti autentici, non ripetitivi, diversamente da quelli del culto, il quale non possiede il carattere originario della visione.”
Brano tratto dal libro “Dioniso” di Karl Kerény
Karl Kerény (1897-1973), ungherese, fra i maggiori studiosi di tutti i tempi di religioni del mondo antico, delinea, in questo brano, con pochi tratti di penna, il concetto di epifania divina e soprattutto cerca di far capire che cos’è un’epifania divina, ovverosia una manifestazione del divino, che può essere improvvisa, dovuta a un’esperienza visionaria, o comunque ad un “impatto” quasi ravvicinato con la divinità, però sempre diversa e indipendente dal culto. Il 6 gennaio è l’ultima festività del ciclo natalizio, dopo il Natale e il Capodanno, e, allo stesso tempo, la prima festa del nuovo anno che inizia. La Chiesa Cattolica Romana, in particolare, e la Chiesa in generale, da, a quest’ultima festività del solstizio d’inverno, il nome di Epifania o Epifania del Signore, cioè manifestazione di Dio (di Dio appena nato, appena venuto al mondo) agli uomini. Dio si manifesta sin da subito. Sembra quasi elargire la sua epifania agli uomini come un dono del cielo che la Terra accoglie benevola e gioiosa. Ma come si manifesta e a chi? E’ lecito chiedersi. Si manifesta con una stella molto luminosa nei cieli d’Oriente e a degli stranieri che i vangeli chiamano Magi, i quali, presso le civiltà antiche, più che dei re (secondo la tradizione) erano piuttosto degli scienziati, degli astronomi o studiosi delle stelle. All’apparire di una nuova stella nel cielo, secondo i loro calcoli o studi, essi comprendono che il Messia tanto atteso dal popolo ebraico è nato; ma comprendono, anche e soprattutto, che è venuto il tempo in cui Dio si manifesterà a tutti i popoli della Terra. E così, dai loro rispettivi paesi, si mettono in cammino seguendo questa nuova stella molto luminosa nel cielo, che li condurrà al luogo dove il Messia o Salvatore è nato. I vangeli ci raccontano che i Magi “provarono una grandissima gioia” e partirono per Betlemme (il luogo che la stella sembrava indicare loro per la nascita di Gesù); “ed ecco che la stella, che avevano visto in Oriente andar loro innanzi li precedeva” (Matteo, 2, 9-10). L’antichissima via montana, già percorsa in tempi passati da Abramo, conduceva da nord quasi direttamente verso sud. Nel crepuscolo della sera (cioè al tramonto) la stella era visibile in direzione sud, sicché i Magi, andando da Gerusalemme a Betlemme, avevano l’astro risplendente sempre davanti agli occhi. La stella si muoveva realmente, come raccontano i vangeli, “loro innanzi”. La tradizione tramanda che i Magi erano tre, che i loro nomi erano: Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, che uno di loro era di colore e che i loro corpi o parti di essi sono conservati da sempre, quali preziose reliquie, nella cattedrale di Colonia, in Germania. Cosa trovarono i Magi, dopo tanto cammino, una volta giunti a Betlemme? Solo un bambino nato da poco, avvolto in umili vesti e in una dimora ancor più umile. Allora essi, nella loro grande saggezza capirono, al di là di ciò che avevano decifrato nei piani dei cieli per mezzo degli astri, delle costellazioni, dei pianeti, qual’era il disegno universale di Dio per l’umanità di questo piccolo pianeta chiamato Terra e che occupa il terzo posto in un sistema solare ai margini di una delle tante galassie (ammassi di stelle e di sistemi solari immense) le quali popolano l’Universo. Aprirono i loro scrigni ed offrirono al bambino i doni che avevano portato con sé: oro (il metallo dei re, per la Sua regalità umana e divina); incenso (la resina che si offre a Dio o agli dei nel corso dei sacrifici, per la missione sacerdotale che Egli doveva compiere) e mirra (erba preziosa e ricercata in Oriente quanto amara, per l’amarezza e il dolore che Egli avrebbe dovuto sopportare). L’Epifania di Dio all’uomo non poteva essere più sincera, più semplice, più bella e toccante e insieme più grandiosa.
Francesca Rita Rombolà
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