<< (…) Non esiste rivolta senza la sensazione di avere, in qualche modo e da qualche parte, ragione. Chi è oppresso dimostra, con caparbietà, che c’è in lui qualche cosa per cui “vale la pena di…”, qualche cosa che richiede attenzione. In un certo modo, oppone all’ordine che l’opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto egli possa ammettere. Nella rivolta l’uomo, che camminava sotto la sferza del padrone, ora fa fronte. Oppone ciò che è preferibile a ciò che non lo è. Non tutti i valori trascinano con sè la rivolta, ma ogni moto di rivolta fa tacitamente appello a un valore(…)>>. Brano tratto da L’UOMO IN RIVOLTA di Albert Camus Sono passati settanta anni dal 25 aprile 1945. Data fatidica per l’Italia del presente ma soprattutto per l’Italia del futuro. Ormai quasi nessun testimone diretto o che ha preso parte a quell’evento vive più, e allora la memoria più immediata si assottiglia e siamo noi (io in primis) a ricordare quel che abbiamo sentito raccontare, da bambini o da ragazzini, dai nostri genitori o dai nostri nonni, cercando di preservare tale ricordo ripulito ormai da ogni sfumatura, vera o falsa, dovuta all’età…