Il Potere è sovrano. Spesso e comunemente il potere politico. Ma diciamo meglio il potere in sé. Spesso è quasi onnipotente, addirittura apoteosi dell’incredibile. Il tiranno ha potere di vita e di morte sui propri sudditi, il dittatore (di destra, di sinistra, di qualunque colore e di qualunque appartenenza ideologica) impone con la forza bruta o con la coercizione sottile il proprio potere di decisione sulla vita e sulla morte delle persone (dei cittadini, che forse cittadini non sono ormai più). Nulla teme il Potere sulla terra. Nulla teme il tiranno. Nulla il dittatore. Ogni cosa gli si piega e può essere piegata al suo volere. Ogni essere vivente: pianta, animale, uomo, può essere assoggettato al suo volere. Egli crea, certo, mirabili opere. Costruisce e cambia. Edifica e, allo stesso tempo, annienta. Eppure vi è un “qualcosa” o un “qualcuno” che sembra, da sempre, collocarsi in una specie di zona grigia, quasi una linea di confine incerta, seminascosta, ciò nonostante perfettamente tracciata e piuttosto visibile. Questo “qualcosa” o “qualcuno” è il poeta e il suo proprio canto. Da sempre, appunto, il poeta ha un rapporto decisamente ambivalente con il potente di turno sia egli imperatore, monarca, tiranno, dittatore e forse…
La culla del Decadentismo fu nei cenacoli “Bohémiens” della Rive Gauche – gli “Hidropathes”, gli “Hirsutes”, gli “Zutistes”, i “Nous Autres”, il “Chat Noir” – la cui fama verso il 1880 e ancora più in là negli anni, in tutta Europa e al di là degli oceani, sembrò creare intorno al nome di Parigi un alone suggestivo e quasi inquietante di genialità e di poesia. Il termine “decadenti” fu adoperato dapprima in senso dispregiativo dalla critica benpensante, borghese o accademica, ma già dalla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, quando l’inglese Gibbon aveva descritto la “storia della decadenza e della caduta dell’impero romano” con una certa simpatia per i vinti – “rappresentanti di tutti i valori della cultura” – e i vincitori – “uomini della barbarie” – la parola “decadenza” aveva perso molto del suo significato originario svalutativo, e l’attrazione verso le “culture tarde e morenti” aveva costituito anzi una sorta di distinzione al di sopra di una società e di un mondo alle soglie di un’oscuro sfacelo imminente. Per primo fu il poeta francese Charles Baudelaire che scoprì e svelò la potenza trasfigurativa che la Poesia possiede anche di fronte a ciò che la vita può avere…
Poesia è un soffio di vento appena, tra i fiori e sulle cime degli alberi più alti. Poesia è la brezza lieve che increspa le onde del mare al tramonto quando il sole si immerge nel sonno di antri oscuri e profondi per permettere ad ogni vivente di sognare. Poesia è il murmure misterioso e misterico del bosco, il respiro sottile della foresta, lo scorrere quieto del ruscello fra i sassi del suo letto. Poesia è la cadenza ondulata della sabbia che forma e sposta le dune del deserto. Poesia è lo stormire delle foglie, il calpestio dei passi, il gemito impercettibile di una goccia di rugiada in un’alba di giugno, la voce impossibile e incredibile della pioggia d’autunno, il rombo lontano del tuono in mezzo alle nuvole grandi e in corsa. Poesia è il silenzio che non si può spiegare. Poesia è il pianto imperscrutabile di una sola lacrima. La lava del vulcano scende come un fiume placido e inesorabile. E’ rossa e calda. Quasi inverosimile. E’ il sangue della terra. Convulsione tellurica del suo corpo di vegliarda. Fiotto e anima delle sue profondità inaccessibili, dei suoi abissi e dei suoi baratri senza confronto. E’ fuoco. Il fuoco che…
In una prigione terribile e orribile sconosciuta al mondo, dove chi vi è rinchiuso vive in condizioni disumane ed estreme, qualcuno ha con sé (per caso? Per magia? O per inutilità della vita e del tutto, o per motivi altri) un libro di poesie di un poeta che ha cantato la libertà, la bellezza e la potenza della natura, la dolcezza o l’esuberanza ardente dei sentimenti, le meraviglie dell’amore, il mistero della vita. E’ l’unica cosa che possiede in quell’ambiente fatiscente, umiliante e doloroso. E’ l’unica cosa che i suoi carcerieri – aguzzini gli consentono di tenere con sé. E’ il suo unico possesso in un luogo dove non si possiede più niente forse nemmeno più la propria autostima e la propria dignità umana le quali vengono messe a dura prova quasi ogni giorno e, ogni giorno, venendo meno ad ogni nuova “seduta” di tortura. Un libro di poesie. Già. Chissà poi perché i carcerieri – aguzzini consentono proprio il possesso di un libro di poesie a prigionieri – detenuti che vogliono “annientare” non solo fisicamente ma soprattutto e principalmente psicologicamente cioè nello spirito, nell’anima, nella capacità di pensiero e di raziocinio. Già. Forse perché ritengono che un libro di…
Il 22 maggio 1873 lasciava questa vita, all’età di ottantotto anni, il poeta e romanziere Alessandro Manzoni. Sono passati esattamente centocinquanta anni dalla morte di uno dei più grandi autori della Letteratura Italiana. Una breve nota per ricordarlo in tempi in cui forse la letteratura, insieme alla memoria, non sembrano avere più quel posto predominante che hanno avuto nei decenni scorsi. Alessandro Manzoni è stato l’autore di capolavori letterari quali il romanzo “I Promessi Sposi”, di tragedie quali “Adelchi” e “Il conte di Carmagnola” e di poesie quali “Il 5 Maggio”. Non so più se le giovani e le giovanissime generazioni, a partire dai Millennials, (nati nel 2000/2001) hanno ancora nei loro programmi di studio alle scuole superiori, per quanto riguarda l’italiano, le opere di Alessandro Manzoni, quindi se lo studiano o lo conoscono come semplice autore appena; ai “miei tempi” (anni Ottanta del secolo scorso) era un autore di primo piano alle scuole superiori, e il romanzo “I promessi Sposi” era il classico che si doveva studiare e commentare per un intero anno scolastico. A questo riguardo, non posso non ricordare e non menzionare il compianto professore Franco Rombolà con il quale ho proprio studiato “I promessi Sposi” di…
Rompo un silenzio durato più di un mese. Rompo oggi un silenzio nel cui tempo il dolore, lo shock emotivo e l’ineluttabilità di un lutto improvviso hanno dato spazio e una certa fermezza per una riflessione sulla morte e sul suo senso e sulla poesia che può essere chiarificatrice di questo recondito senso. Talvolta in momenti di dolore grande e improvviso, come forse anche di gioia inaspettata, cerchiamo una risposta, se ci riesce, o almeno un qualcosa che vada oltre la superficie delle cose, a quel che ci è accaduto, che ci accade, che ci coinvolge e ci stravolge, ci afferra e ci consuma. Forse la Poesia, come sempre e come da sempre fa, può essere questa specie di risposta o questo qualcosa, strana pellicola sottile mai del tutto invisibile. C’è una poesia forse che adesso può rendere l’idea, la sensazione, la particolarità di questo tempo vissuto; forse i suoi versi iniziali, i versi che danno il titolo all’intero componimento sembrano voler comunicare ad ogni costo la loro possibile ermeneutica: “parlare”, “dire”, “additare” su un sentiero tortuoso e poco illuminato. “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” sono forse i versi più conosciuti e più citati della famosa poesia…
Per una Pasqua di pace, di giustizia, di risveglio interiore. Per una Pasqua che sia dolore, sofferenza, morte ma subito dopo gioia, consolazione, resurrezione. Per una Pasqua che aiuti e dia coraggio a chi non trova aiuto in se stesso e negli altri, a chi non sente e non ha il coraggio di cambiare in meglio i propri pensieri e la propria vita. Per una Pasqua solitaria e silenziosa che stimoli perciò la riflessione profonda sulle cose e sul mondo. Per una Pasqua che dia valore e senso alle parole e ai gesti, agli atti e agli slanci. Per una Pasqua che sia rammemorazione e ricordo, memoria e racconto vitale. Per una Pasqua bella, buona, serena, feconda, nuova. L’UNICA OFFERTA Presentò sull’altare l’offerta del pane e del vino ricevuta dal patriarca, lui il primo sacerdote dell’Altissimo e in quell’istante percepì … e poi vide il compimento della redenzione di ogni essere e cosa; fino alle stelle, alle galassie agli universi invisibili e inconcepibili. Vide, e impresse nella sua memoria la visione col fuoco celeste della trasfigurazione. I mondi sobbalzarono, e furono sconvolti l’uomo dapprima si accostò con timore alla luce in seguito la riconobbe dal profondo, inespressivo. Il mistero inaudito…
…E se un giorno, improvvisamente, i poeti fondassero la loro repubblica?! Ahimè credo che il mondo, così come lo conosciamo e nel quale viviamo, andrebbe davvero in tilt. Forse si produrrebbe la più grande e la più radicale rivoluzione che l’uomo abbia mai fatto e la Storia abbia mai visto. Il reame dei poeti, con il retrogusto sognante di una fiaba o, forse meglio, la repubblica … sì ecco, alfine, proprio la repubblica dei poeti! La repubblica dei poeti. Ma come sarà, o dovrebbe essere, la repubblica dei poeti? Non si è mai vista e mai sentita una cosa del genere. Eppure tutti la auspicano da sempre.Tutti la desidererebbero o la vorrebbero da sempre. Tutti da sempre la aspettano quasi come gli antichi ebrei attendevano il messia, cioè colui che avrebbe potuto liberarli dal giogo straniero e salvarli da un qualcosa di terribile e di ineluttabile. Tutti sì. Anche quelli che non sanno cosa siano né i poeti né la loro repubblica e perfino gli apatici e gli indifferenti alle cose, alla vita e a se stessi. Perché la repubblica dei poeti è quasi una sorta di ideale misterioso e oltremodo imperscrutabile che alberga con continuità atemporale nell’inconscio collettivo dell’intera…
Cosa fa più male uno schiaffo in pieno volto o uno dentro l’anima? Forse l’uno e l’altro in modo uguale e intensamente; forse, a mio avviso, uno schiaffo dentro l’anima brucia di più con un dolore talvolta troppo acuto per riuscire sopportabile. Infatti il dolore si mantiene forte per giorni e giorni, l’agitazione interiore aumenta con il passare delle ore, la disperazione si insinua in ogni fibra dell’esistenza e la sconvolge e la trasforma. E uno schiaffo in pieno volto? Fa male per un’ora o due, fa male per un giorno; poi il dolore piano piano diminuisce, il gonfiore e il bruciore si attenuano e tutto sembra essere ritornato come prima, cioè come prima di ricevere lo schiaffo. Per una donna è da sempre, ed è sempre molto facile e semplice ricevere uno schiaffo. Siamo più fragili noi donne? Più fragili, più indifese, più deboli? Forse sì e forse no. E anche se lo siamo perché ci si colpisce, a volte senza motivo, senza una ragione? Io come donna sono sola. Scagliata dal nulla o dal caso quale scheggia di un tutto in un mondo disumano e feroce. Potrei dire che il mondo non mi ama e non mi vuole….
La tomba del poeta parla? La tomba del poeta dice qualcosa a chi si ferma presso di essa anche per darvi un fuggevole sguardo soltanto? Sì, la tomba del poeta ha parlato in passato. E parla nel presente. Continua a parlare nel presente. Parla in un presente fuori dal tempo e in uno spazio che è forse un non – luogo o forse è proprio il luogo per eccellenza: il topos dell’anima e della memoria che sa trattenere il silenzio remoto nel già trascorso o remoto nel divenire, il topos dello spirito che percepisce ed anela, spera e vive andando sempre oltre. Oltre se stesso. Oltre l’effimero e il mediocre. Oltre la banalità e l’appiattimento. Oltre la vita e la complessità della vita. Ma soprattutto oltre la morte. E oltre il mito della morte. Un tumulo, una lapide, un cippo, una cavità naturale nella roccia, un menhir o un circolo di pietre, un’urna o un loculo, un mausoleo, un sepolcro monumentale la tomba del poeta cattura e affascina, stimola alla riflessione immediata e induce a meditare su cose profonde e ultime. Non porta quasi mai al pianto o alla commozione. Le lacrime sembrano quasi superflue e assurde dinnanzi a chi,…
L’amore che unisce due cuori rossi e ardenti di passione, profondi e irruenti come il cratere di un vulcano attivo. L’amore che celebra e abbatte, edifica e travolge. L’amore che smuove le montagne e segna il passo ai giorni tristi dispersi nel dolore. L’amore che consuma la vita, la trasfigura, la rinnova. L’amore con il suo soffio potente come i primi vagiti dell’Universo nel vuoto inaudito prima di ogni cosa. L’amore che ha creato stelle e mondi lontanissimi nelle profondità del Cosmo, vicinissimi all’Essere che li racchiude e li fa evolvere. L’amore vibrante come un’onda gravitazionale che può in un attimo annientare lo spazio – tempo e far finta di niente quando le labbra degli innamorati si sfiorano all’ombra di un frassino nell’angolo più remoto del parco e fanno esplodere il cielo e la terra. L’amore gratuito e libero, sognante e prigioniero, malinconico e desolato, solitario e in solitudine. L’amore che dona e mai si sogna di ricevere. L’amore lieve come il vento e sottile come fiamma viva nell’oscurità. L’amore che travolge come un fiume in piena e unisce a un tempo gli amanti, gli innamorati, i perdenti e i gaudenti, i deboli e gli oppressi, i forti e gli…
Deflagrazione della terra, sconvolgimento degli abissi, sommovimento del suolo, agitazione violenta e spasmodica di viscere oscure come cavità sconosciute vuote come gli spazi interstellari, piene di magma e di fuoco vischioso, crolli di architetture immani e di strutture rocciose inverosimili, esplosioni di energia primordiale; le placche tettoniche si avvicinano, si sfiorano, si toccano, si respingono, si allontanano, si perdono di vista, la superficie terrestre si spezza, si frantuma, si trasforma, si ricompone, si conforma; tutto è in movimento: l’interno della terra come la sua superficie, come le stelle, le galassie e i più remoti e sconosciuti oggetti presenti nell’Universo. La terra trema, ignara della distruzione, della morte, del pianto, del dolore che porta. Un terremoto non è mai un evento fatale o un imperscrutabile accidente del destino, è un evento naturale sì ma coinvolge gli uomini nelle loro società, le loro culture, le loro appartenenze, i loro sentimenti, il loro profondo e tagliente vissuto. La Poesia, da sempre, commemora, ricorda, descrive, racconta. Canta. Celebra. Ogni evento. Nel bene e nel male. Celebra e canta. Canta e celebra. Ogni sentimento, ogni percezione, ogni grido (di dolore estremo o di gioia intensa). Sa essere grido e sospiro, lamento e gemito, urlo e…
La Poesia, come l’amore, per sua natura appartiene alla sfera dell’indicibile. Come tutto ciò che ha a che fare con l’anima, con la dimensione più profonda e segreta dell’Essere, è vicina al mistero. E’ essa stessa mistero. E’ mistero inaudito. E’ mistero cosmico. Perciò si accompagna al silenzio, ed è imperscrutabile essenza del silenzio. Superare la barriera dell’inesprimibile, dare forma o corpo all’indicibile è impresa folle, quasi pienezza di “terrore panico” in cui solo i poeti si sono cimentati … e si cimentano da sempre. E’ un addentrarsi nel labirintico mondo dell’immaginale per cogliere le mille cangianti sfumature che il poeta trae dal silenzio per dar loro voce e parola. In questo profondo, e spesso doloroso, viaggio misterico – iniziatico il poeta è il folle, il portatore e, insieme, il mediatore di quella “sacra e divina follia” per mezzo della quale si confronta con l’inesplicabile per far sì che tale esperienza misteriosa e sovvertitrice diventi suono, parola, canto. Nel labirinto in cui le multiformi realtà immaginali si dispiegano e tuttavia vagano come imprigionate la Poesia è il velo che cela e custodisce, innalza e separa, unisce e consacra; ma è soprattutto il “filo di Arianna” che guida il prigioniero, guida…
In poesia l’immaginario, e l’immaginazione, sono un ponte. Un ponte che collega due sponde: l’anima e il linguaggio. Senza l’immaginario, e l’immaginazione, profondi e misteriosi al pari di una dimensione insondabile, nouminosi e colmi di sacralità quanto un atto di magia o un antico rito sacrificale, le due sponde dell’esistere, cioè l’anima e il linguaggio, resterebbero separate per sempre senza possibilità di contatto, di confronto, di conoscenza, di fusione o anche di rafforzamento e di indebolimento. Il poeta attinge al pozzo dell’immaginario, e dell’immaginazione, oscuri, larvali, spesso orrifici ma, allo stesso tempo, luminosi, limpidi, ludici e gioiosi, che porta in sé come un fardello spesso di una levità lieta ma, molto più spesso, di una pesantezza dolorosa e greve talvolta insopportabile; vi attinge nei momenti di ispirazione quando il gorgo assordante dei flutti della sua anima tace o è in tempesta mentre egli, solitario ed enigmatico come il neofita che sta per essere iniziato ai misteri dell’Altrove, si accinge ad attraversare il ponte sospeso che sta in alto il quale è periglioso, oscillante e stretto come i ponti sospesi su fiumi infernali nelle vallate andine o himalayane a oltre tremila metri di quota. E’ sempre un rischio quasi estremo per…
I tamburi di guerra si odono ogni giorno e ogni notte. Vicini o lontani. Lontanissimi o vicinissimi. Dietro l’angolo o oltre la linea dell’orizzonte. Si odono per tutto l’anno. Si odono da anni. Si odono da secoli. Si odono da millenni. Si odono fin dalle prime civiltà umane. Si odono da sempre. Non c’è mai stato un periodo storico sul pianeta terra che abbia conosciuto la pace globale. Uguali, distinti, talvolta spaventosi, talvolta del tutto normali, delle volte perfino monotoni. Di giorno hanno ritmi incessanti. Rullano. Durante la notte sono un suono vago e indistinto che colpisce nel profondo la percezione e può mettere anche paura o panico. Un suono che penetra ciascuna fibra dell’anima e fa vibrare ciascun lembo di pelle. Ogni guerra, da quella combattuta con la fionda e le pietre più di diecimila anni fa, a quella combattuta con le bombe, i mitra, i missili nel ventunesimo secolo, porta con sé, inevitabilmente, distruzione, violenza inaudita, miseria, perdita, dolore dello spirito e sofferenze nel corpo, traumi di ogni tipo ma soprattutto morte. Dove la guerra sosta, anche per un tempo brevissimo, non vi sono che macerie su macerie … intere città, grandi e piccole (e villaggi), che un…
QUESTO BIMBO Fu il più oscuro e il più solitario dei profeti nelle sue dolorose visioni a percepire, a capire … I pianeti, le costellazioni si mossero nei cieli quasi si misero in cammino come gli uomini che li osservavano da tempo, e del tempo compresero la grandiosità dell’Evento. Notti così stellate … Luce. Luce che splende sui popoli. Non ne verranno mai più in quel che è nominato futuro, in una notte così lunga per il mondo così sfibrante e unica il buio era tenebra le tenebre si libravano sopra l’Abisso. Che cos’è il cielo per la terra? Soltanto mistero e silenzio che parlano da una lontananza interdetta alla vista di occhi procaci nella tempesta. Chi è predisposto all’ascolto sa prima di comprendere che il segno giunge affinché sia ricomposta l’origine frantumata dal remoto accadimento degli avi. L’invisibile conosce la sua propria essenza per cui tutte le ragioni del mondo non potranno bastare. Immerso nell’azzurra quiete il bue gode la pienezza dell’istante, l’asino lo guarda felice dall’azzurro primordiale che lo avvolge. Sono e saranno gli animali più sfruttati più battuti, più dileggiati ma la notte in cui nasce questo bimbo hanno un compito elevato al pari del sole e…
Una splendida pantera trova una donna, ferita e maltrattata, ai margini di una foresta. I due iniziano allora a dialogare in tutta sincerità e spontaneità. P – Hai lividi dapertutto e sei ferita al petto. Lascia che ti lecchi il sangue dalla piaga e ti dia conforto. Chi ti ha fatto tutti questi lividi? Chi ti ha procurato questa ferita al petto? D – E’ stato l’uomo … Sei una pantera davvero splendida con un manto nero come la notte e gli occhi ardenti e penetranti come i fuochi di un accampamento di nomadi nella vastità della steppa. P – L’uomo ti ha fatto questo? Perché?! … D – Perché l’uomo spesso è violento e colpisce senza una ragione. P – Colpisce gli animali, colpisce gli alberi e le piante; sì proprio senza una ragione. Eppure non immaginavo che potesse colpire anche la donna: un essere umano uguale a lui. D – In fondo lo ha sempre fatto, e continua a farlo ancora oggi. P – Ancora oggi? Oggi che ha costruito una civiltà avanzata dove ciascun essere del pianeta può reclamare senza paura il diritto alla vita e alla propria dignità di essere vivente? D – Sì, ancora oggi,…
Miguel Hernandez (1910 – 1942), di umilissime origini, passò la giovinezza aiutando il padre, un pastore di capre sensale di bestiame, finché, attratto dalla poesia, si recò a Madrid dove, tra innumerevoli difficoltà economiche, riuscì a farsi conoscere e apprezzare nei circoli letterari più importanti e vivaci della capitale spagnola. Allo scoppio della guerra civile militò tra i repubblicani. Al termine di questa fu rinchiuso nelle prigioni franchiste dove subì maltrattamenti e torture di ogni genere, che ne minarono la salute portandolo a morte precoce. La sua poesia presenta una tecnica che risente della tradizione del barocchismo spagnolo ai limiti della retorica, ma è sinceramente ispirata da un senso della vita grave e dolente, da un qualcosa che ha quasi il peso ineluttabile della fatalità e della morte, a parte – si intende – le liriche che rivelano il suo forte impegno civile e politico testimoniato dalla partecipazione alla guerra civile e dalla morte in carcere. La breve lirica “Il cimitero è vicino” è dedicata al figlioletto morto a soli dieci mesi, mentre in Spagna imperversava la guerra civile. Il dolore è contenuto e silente, ed esplode, in silenziosa deflagrazione, soltanto nell’ultimo verso che chiude la dolorosa descrizione dove la…
Il cielo è bianco. La terra è bianca. L’aria è freddissima. Il mondo ha vissuto la sua apocalisse ormai da tempo. La civiltà è scomparsa dalla faccia del pianeta. Spazzata via forse da una guerra atomica, forse da un’immane catastrofe naturale o forse perfino di origine extraterrestre. La vita si è quasi estinta. La varietà di colori, con le loro molteplici sfumature, che caratterizzavano le terre emerse, è scomparsa. La fauna e la flora terrestri, evolutesi in milioni di anni, non esistono più. Era un pianeta meraviglioso la terra, il terzo di un sistema solare collocato non troppo al centro di una galassia come ve ne sono centinaia o anche migliaia in tutto l’Universo conosciuto o sconosciuto. Un pianeta meraviglioso la terra sì. Per il solo fatto che vi era la vita: forme di vita via via sempre più complesse fino a raggiungere quella umana, la più completa e complicata, la più enigmatica, la più sublime e, allo stesso tempo, la più controversa e la più contraddittoria, che si potesse mai immaginare e realizzare. Ma adesso è tutto finito … in questo ammasso sferico di macerie, di ceneri, di polveri radioattive, di strati su strati di scheletriche rovine, di inumani…
Negli Stati Uniti d’America e nel mondo è conosciuto come Joshua Tree (ossia l’albero di Giosuè, il personaggio biblico dell’Antico Testamento, chiamato così dai primi coloni bianchi giunti nel deserto della California nel diciannovesimo secolo, appartenenti alla confessione religiosa dei Mormoni). E’ davvero un albero mitico. Ma forse più che mitico si potrebbe anche dire leggendario. Oggi si trova all’interno del Joshua Tree National Park, in un’area sacra ai nativi americani denominata il deserto del Mojave, in California. Un albero, oltretutto, che appartiene ad una specie molto longeva che può sopravvivere anche per diversi secoli. Un unico albero e un albero unico puntellato e circondato solo da rocce e da cespugli bassi. Solitario e grandioso, misterioso e immerso nella sua area sacrale, The Joshua Tree vive e si nutre di un paesaggio surreale e insieme irreale, altamente suggestivo e intensamente poetico. Artisti in ogni campo e di ogni tempo hanno immortalato quest’albero con le loro opere e per mezzo delle loro opere. Si dice che un poeta, un musicista, un pittore, uno scultore, un regista, uno scrittore recandovisi ai piedi di The Joshua Tree e sostandovi, anche per pochi minuti, non possa fare a meno di trovare ispirazione per le…