La poesia Nabati: una rosa purpurea nel deserto

Poesia del deserto. Poesia Nabati, o popolare. Poesia dal fascino esotico e indiscutibile. Poesia che viene da lontano, dal paese dei “Mille e una notte”, cioè dalla penisola arabica. La poesia Nabati, o del deserto, cattura il lettore per il contenuto nostalgico e sentimentale che la pervade. Dopo un periodo di oblio, riceve nuovo impulso dal poeta siro – libanese Khayum – d – Kin az – Zarakli che, nel volume dal titolo “Ma ra itu wa ma sami tu” (Ciò che ho visto e sentito)), riporta alcuni esempi di poesia denominata “Al – Humayni” e spiega il significato di alcuni versi. Az – Zarakli divide la poesia beduina in due gruppi: “Al – Qarid”, metricamente e linguisticamente corretto, e “Al Humayni”. Il poeta ha compreso l’importanza della poesia beduina, anche se povera dal punto di vista grammaticale, ed afferma: “Il beduino tutt’ora nella poesia evoca le tracce antiche, descrive le nuvole e le montagne, esprime la sua nostalgia per l’amore, piange la separazione, compone elegie per la morte di una personalità o per esaltare un personaggio. Nella sua poesia si riconosce, perciò, lo spirito del poeta beduino che si dirigeva verso Ukaz oltre quattordici secoli fa”. Con questo scritto…

La Poesia e il tempo

Il tempo: enigma e mistero fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra. Il tempo: ossessione, ansia, tabù, realtà sacrale, entità che sfugge. E’ stato e continua ad essere tutto ciò per l’uomo il tempo e il concetto di tempo. Il tempo: inafferrabile eppure ineludibile; realtà o irrealtà? Cosa si sa o si può mai dire di concreto intorno al tempo? I rintocchi di una campana che scandiscono le ore, ciò che noi, come esseri umani, facciamo ogni giorno, nel bene o nel male, è uno scandire lento o veloce del tempo. Gli orologi (anche i più sofisticati quali quelli atomici che scandiscono perfino i millesecondi) misurano il tempo: in secondi, in minuti, in ore ma non dicono che cos’è il tempo. I calendari lunari o solari riportano, regolarmente e ciclicamente, i giorni, i mesi, gli anni ma non dicono, ugualmente, che cos’è il tempo. Ci hanno provato i filosofi di ogni epoca a pensare il tempo e a tentare di capire che cosa il tempo mai fosse. Ma in fondo non si è mai saputo, non si sa, forse non si saprà mai che cos’è il tempo. Tutti quelli che hanno indagato il tempo e hanno dissertato su di esso sono…

I bambini e la guerra

Bambini che hanno perso l’amore e il diritto all’amore. Bambini che non conoscono più l’amore. Bambini soli e solitari che hanno fame e sete di ogni cosa, ma di essere amati e accuditi principalmente. Bambini che non possono più giocare. Bambini che non possono più esprimere la loro gioia di vivere. Bambini che non riescono più ad esperire la loro innocenza ludica e il loro spirito di libertà infinita e pura. Bambini in guerra e in mezzo alla guerra. Bambini trascinati dalla guerra come arbusti spezzati lungo gli argini da un fiume in piena. Bambini sotto shock a causa della guerra il cui trauma disumano sarà come una zavorra invisibile che si porteranno addosso per il resto dei loro giorni fino a tarda età. Bambini che hanno dentro la loro anima infantile ancora in formazione l’innato senso di una pace superiore e profonda che gli uomini non riescono mai a capire e perciò non possono mai dare. Bambini i cui effetti disastrosi della guerra sono ferite dagli squarci inauditi e dalla profondità senza dimensione che brilleranno come piaghe perlacee di luce tenebrosa col trascorrere cruento degli anni e delle stagioni. Bambini la cui levità divina contrasta terribilmente con la nefanda…

L’azzurro dei poeti

“Voglio un azzurro speciale. Un azzurro che vada oltre il colore reale che l’occhio riesce a percepire e a focalizzare. Voglio l’azzurro dei poeti!”. Pare che Michelangelo Buonarroti dicesse queste parole quando dipingeva la Cappella Sistina e fosse preso dal dilemma del colore da dare al cielo del monumentale affresco. Il colore sì, l’azzurro certo, ma quale sfumatura di azzurro? Che particolarità di azzurro? L’azzurro della Cappella Sistina dire che è straordinario e meraviglioso è poco. E’ un azzurro divino. Sì, l’azzurro del Divino. L’azzurro preternaturale. L’azzurro edenico. L’azzurro dei poeti. Eppure Michelangelo non fu mai pienamente soddisfatto di questo azzurro ricercato e trovato con difficoltà. Per lui non era ancora il “divino azzurro”, l’azzurro che “l’occhio umano non riesce a percepire, a vedere, a mettere a fuoco materialmente”. L’azzurro. Il colore azzurro. L’azzurro dei poeti. Che cos’è? E’ davvero un colore? Il colore azzurro, appunto? O non è piuttosto un concetto immaginifico? Una dimensione ancestrale perduta? Un archetipo? Una metafora della poesia come realtà che non appartiene al mondo, alla società, al calcolo, al raziocinio, al comune sentire? Sicuramente, e fin dai tempi più remoti. Il cielo del pianeta terra è azzurro. I mari del pianeta terra sono azzurri….

Al Andalus. Un sogno, o solo l’ombra di un sogno?

Realtà? O solamente un sogno? Forse soltanto un sogno ma che è stato realtà. Una realtà immersa in un mondo sognante. Una patria ideale perduta. La terra del sogno e dei sognatori. Forse la terra della poesia. Forse il regno dei poeti. Sto parlando di Al Andalus (la moderna Andalusia, la regione più a sud della Spagna). Il tanto decantato e meraviglioso regno arabo di Spagna di Al Andalus. Regno forse davvero mitico e leggendario dove le arti e le scienze raggiunsero uno splendore incomparabile, la civiltà fu di una raffinatezza unica e lo sviluppo economico, culturale, umano di una magnificenza a dir poco assoluta. Regno che, nella realtà, così come ebbe un inizio ebbe anche una fine piuttosto tragica e improvvisa ad opera della “reconquista” cristiana la quale non fu proprio indolore e neanche proprio magnanima nei suoi riguardi, cancellando un’era felice, di progresso, di sviluppo, di mollezza e di bellezza in tutti i campi e in tutti i sensi. Re, principi, filosofi, matematici, sapienti, poeti e cantori; arabi, ebrei, di paesi anche lontanissimi e sconosciuti abbandonarono Al Andalus, con i suoi segreti, la sua magnificenza e la sua grandezza, al conquistatore e si dispersero per tutto il Mediterraneo…

E’ Pasqua

I prati sono fioriti. E’ Pasqua. Il grano è in erba. E’ Pasqua. L’albero di fico non è più nudo e grigio, ma inizia a vestirsi di tenere foglie verdi che crescono sempre più di giorno in giorno. E’ Pasqua. Tempo che apre le porte al risveglio. E’ Pasqua. Soglia tra il vivere e il morire che si infrange. E’ Pasqua. La terra feconda e il cielo benevolo si preparano al dono gratuito dei frutti che fortificheranno gli uomini di buona volontà e dal cuore puro. E’ Pasqua. Ulivi millenari e palme dal fusto perfetto ondeggiano al vento lieve, misterioso e lieto della speranza.   VERSO I TEMPI ULTIMI Sogni infranti pensieri di primavera di ludica levità molti i colori naturali che non hanno riscontro nella realtà, più belli e maestosi dei gigli dei campi degli antichi re e dei magnati moderni. Dalle rupi nude e dalla roccia scavata un pensiero, un’idea un cuore che batte ancora che prenderà vita e darà la vita perle dal mare fili di porpora dalle conchiglie, e il vento che annulla o amplifica le distanze. Ecco l’impasto essenza di civiltà remota che dal frumento figlio della terra diventa pane e mistericamente diviene corpo e…

Mille cose di primavera

Mille angoli nascosti dove le viole fioriscono ancora. Mille gesti d’amore in cui i cuori sensibili e puri palpitano ancora. Mille lacrime di compassione con le quali l’essere umano guarda umilmente il volto dell’altro uomo. Mille risate spensierate sulle quali splende la libertà come il sole più ardente dell’Universo. Mille sogni di speranza dove la primavera giunge a riscaldare l’anima gelata dal rancore, dal profitto, dalla sopraffazione; e la Poesia rinnova la sua dolce ansia di ascoltare, di donare, di rammemorare la bellezza di tutto ciò che vive, muore e si rinnova.   E POI VENNE IL GIORNO Fango e dolore portò il disgelo, ma la primavera non si fermò. Fiamme e violenza portò l’acciaio dei carri da guerra sull’asfalto grigio di caligine il cielo piombò furente sugli esseri vivi e sulle cose inerti, ma la primavera non si fermò. E poi venne il giorno il suo primo giorno silenzioso e silente quasi da tutti dimenticato e da chiunque desiderato dietro la maschera di tenebre che indossa il mondo. Uno scricciolo cantò piccolo, insignificante ignorato e percosso dal peso cadenzato del soldato e dal peso soverchiante dell’oblio ma cantò e cantò e non smise di cantare, e ancora cantò dal…

Un piccolo e straordinario fiore del deserto

Un libro che prende spunto da una storia vera, un libro sulle donne e che parla di donne; di una donna in particolare la cui vicenda vissuta fin da bambina testimonia, ancora una volta, il coraggio, la determinazione, la voglia di vivere e di essere libere delle donne costrette ad una vita derelitta e spesso di schiavitù da una società che non comprende, non aiuta e si mostra chiusa, insensibile, mortifera e devastante. “Fiore del deserto. Storia di una donna” di Waris Dirie con Cathleen Miller è un libro crudo e crudele, per certi versi affascinante per altri terribile. La protagonista della storia è nata in un villaggio della Somalia in una famiglia di nomadi che ha dodici figli. All’età di cinque anni è già una bella bambina vivace ed intelligente, il padre decide, secondo le usanze dei nomadi del deserto, di infibularla (cioè la dolorosa e tremenda mutilazione genitale delle donne). Waris ricorderà per sempre quell’esperienza come un qualcosa di orribile per il suo essere donna. In seguito, il padre la diede in sposa ad un uomo in cambio di cinque cammelli. Lei è coraggiosa, bella, e vuole soprattutto essere libera ed avere un destino diverso, o almeno, più…

Un Buon San Valentino a tutti gli innamorati

Il sole splende, il vento soffia leggero. Il cielo è azzurro striato da nuvole corsare, il mare ha il color del vino e della porpora che sfuma nel turchese. La terra è verde, le sue zolle sono scure e fertili. Le colline ridono, i monti respirano lieti. Danza la vita. Danza il mondo. Danzano gli innamorati felici e persi nei sospiri intensi dei loro cuori liberi e vagabondi che hanno vissuto cento avventure, e mille altre ancora ne vivranno. AMIAMOCI Amiamoci così Senza nulla chiedere ai sogni. Amiamoci soltanto Senza sperare nel domani Frustato a sangue Dall’incertezza del tempo. Amiamoci nell’attimo rubato all’Eternità Senza condizioni Perché è la vita a conoscere Il trascorrere dei giorni Sul ciglio della pelle Umida di sensuali umori. Francesca Rita Rombolà P. S. – Un Buon San Valentino a tutti gli innamorati

La Poesia e i quattro elementi

La terra, l’acqua, l’aria, il fuoco. La terra, fertile o sterile, dolce o aspra, coperta di erba verde e di fiori multicolori. La terra, con boschi e foreste, ghiacciai e montagne, deserti e rocce, con le sue bellezze e i suoi dolori, le sue meraviglie e la sua sofferenza. La terra, abitata da molte specie viventi. La terra amata e, allo stesso tempo, odiata dall’uomo. La terra, ispiratrice di sogni e di speranze, di promesse e di libertà. La terra, poesia che si concretizza in tutto ciò che respira e vive. La terra, anima del mondo e ascolto senza tempo dell’Essere. La terra, poesia sublime che si incarna in tutte le cose per parlare di poesia e per far conoscere la sua poesia nascosta. L’acqua, sorgente profonda che segue il suo corso perenne, fonte di vita per ciascun vivente sia esso pianta, animale o essere umano. L’acqua, fluida e incolore, cristallina e fresca, quieta o impetuosa. L’acqua, elemento del profondo e che al profondo richiama per guarire le ferite dell’anima, per alleviare i dolori dello spirito e per calmare l’ansia frustrante dei corpi. L’acqua, elemento di purezza e di eccellenza che ha nella poesia il suo centro infinito, e scorre,…

Salviamo il pianeta azzurro

Un cielo azzurro e un sole giallo. Una luna grande e rotonda. Un cielo notturno pieno di stelle da Nord a Sud, da Est a Ovest. Il freddo e il caldo, la pioggia e il vento. L’alternarsi delle stagioni con frutti, fiori, alberi, piante esotiche e rigogliose. E poi le acque dei laghi, dei fiumi e dei ruscelli, le cascate, i mari e gli oceani. Le foreste e i boschi, le grandi distese di ghiaccio o di sabbia. Le rocce, le colline, le montagne. I vulcani e le grotte profonde. I pesci nell’acqua e gli uccelli nel cielo, gli animali che corrono e strisciano, camminano e predano, danzano e lottano. Ecco la Terra, libera, spontanea; la Madre Terra che da la vita e la morte. Ecco la natura nel suo ciclo senza tempo per la quale gli anni passati, presenti e futuri sono solo granelli di polvere all’interno del computo temporale dell’uomo e l’inizio o la fine di un anno: una consuetudine estranea al dispiegarsi dell’Essere e del Divenire. Il pianeta azzurro. Così è chiamato questo pianeta meraviglioso e terribile a un tempo dove tutti noi viviamo. Un pianeta unico e speciale perché su di esso si è sviluppata la…

L’inquinamento luminoso, il nuovo assillo dell’umanità nell’era post – moderna

Nel 1998, negli Stati Uniti d’America, viene creata l’Associazione per la Protezione del Cielo Notturno (Dark Sky Association). Un qualcosa a dir poco sorprendente se si pensa a ciò che, per l’uomo, ha significato alzare gli occhi al cielo e guardare le stelle. “Solo dopo aver studiato a fondo i moti celesti potremo stabilizzare i moti che, in noi, continuano a vagabondare”, scrive Platone nel Timeo. E l’astronomo Tolomeo conferma: “Lo so, sono mortale e duro solo un giorno, ma quando seguo gli astri nella loro corsa circolare i miei piedi non toccano più terra, e io mi avvicino a Giove stesso per saziarmi di ambrosia come fanno gli dei”. Un tempo si voleva imitare il cielo, lo si contemplava, lo si temeva, lo si riveriva come sede dell’Altrove e dell’Al di là, luogo della speranza e del mistero ma era impensabile pretendere di proteggere quello spazio chiuso dalla manipolazione dell’uomo. L’impensabile è diventato, oggi nel ventunesimo secolo, indispensabile ora che la luce artificiale è diventata dominatrice delle notti di città e metropoli, di villaggi in pianura e di borghi sperduti di valli e montagne. A causa dell’inquinamento luminoso, gli uccelli migratori vanno a fracassarsi contro i grattacieli illuminati, le…

Donna. Poesia. Immaginazione. Le tre Grazie di ogni epoca sognante

L’immaginazione, un sospiro profondo, uno squarcio tellurico e pulsante di vita in mezzo alla palude, un lampo di luce nella notte dispersa dentro tenebre infinite, uno spasmo di vitalità tra larve imputridite di apatia e indifferenza, un fremito che attraversa il cielo e la terra, riconcilia l’inferno e il paradiso, uno slancio sovrumano verso dimensioni insondabili. Alta finanza, politica, ricchezza, potere, comando, globalizzazione, leggi e ordinamenti, burocrazia e istituzioni, rigidità, categorizzazioni di fronte all’immaginazione crollano come castelli di sabbia colpiti dall’onda di marea. Quale valore, forza, ragione di mostrarsi e di svilupparsi possono avere senza l’immaginazione? L’immaginazione è tutto e niente. E’ niente ed è tutto. Per la società civile, per la civiltà degli uomini, per l’essere umano, uomo o donna. L’immaginazione crea, porta il cambiamento, soffia sui sepolcri e fa vivere i morti. Immaginazione. Poesia. Donna. Hanno molto in comune, se non addirittura tutto. Fragili tutte e tre eppure così forti da sfidare il mondo, così coraggiose da reggerlo, così importanti da preservarlo dalla distruzione e dall’annichilimento. Donna. Poesia. Immaginazione. Le tre Grazie di ogni epoca sognante che fa dell’Arte il suo baluardo e il modello da seguire in ogni senso e in ogni circostanza. Poesia, colma di immaginazione…

Il ruolo dell’immagine nell’Occidente

Qual è e quale è stato il ruolo dell’immagine nell’Occidente? Risulta, ben evidente credo, che nella sua storia e nella sua tradizione l’Occidente ha sempre posto in rilievo e quasi esaltato il ruolo dell’immagine. Bisogna già partire dall’antichità classica. Infatti, quando Platone parla dell’idea in un senso anche prettamente filosofico, dell’eidos, l’eidos è ciò che si vede. In un certo senso si tratta del primato della facoltà visiva rispetto a tutte le altre facoltà, che è propria dell’Occidente ossia della civiltà occidentale. Altre civiltà, ad esempio quella semitica, pongono in risalto il ruolo dell’ascolto piuttosto che quello della visione. Perché oggi, in Occidente, vi predomina il ruolo primario dell’immagine? Proprio perché la nostra cultura, la nostra tradizione convergono verso tale direzione cioè nell’esaltazione dell’immagine, della visione che, a differenza di altre civiltà, ne ha fatto un punto di focalizzazione molto importante. Tutto oggi, in base a questo concetto o idea, è diventato immagine in Occidente. L’essere stesso in sé è “immagine”: “l’epoca dell’ immagine del mondo”, “l’era delle visioni del mondo” sono modi di dire emblematici a tale riguardo. Bisogna anche riconoscere che l’evento e la presenza massiccia della tecnologia ha continuato e continua a sollecitare “la nostra percezione visiva”….

Il sacro fuoco della poesia e i muri da abbattere

Muri di pietra. Muri di gomma. Muri di ghiaccio. Muri di legno e finanche di sabbia. Muri invisibili fatti di aria o di etere, di omertà o di rancore, di invidia o di malvagità, di odio o di vanagloria, di egoismo o di perbenismo, di paura o di pregiudizio. Un muro davanti alla tua strada. Sul tuo cammino già tortuoso e difficile. Un muro alto o basso. Che separa e che divide. Un muro come una barriera. Che si snoda per chilometri in lunghezza e in larghezza. Attraverso lo spazio e il tempo. Un muro che ti impedisce di vedere. Di guardare. Di sognare. Di immaginare. Di creare. Di gioire. Di scrivere. Di poetare. Di vivere. E forse perfino di morire quando lo desideri tanto… Quanti muri lungo il nostro percorso esistenziale e nella storia dei popoli e delle nazioni. Muri di ogni genere. Di ogni tipo. Di ogni natura. Di ogni sostanza. Muri costruiti apposta e mai per caso. Muri costruiti per caso e mai apposta. Talvolta per sbaglio o per ripicca. Talvolta per disprezzo o per protezione. Muri costruiti perfino per troppo amore o per eccessiva e inconscia morbosità. Per zelo o per indifferenza. Per inedia o per…

Arcaicità e modernità: la Poesia in Tibet

La creazione letteraria in Tibet è da sempre ricca e varia. La Poesia, in Tibet, ha origini arcaiche (se non addirittura antidiluviane), perciò la sua produzione è davvero molto vasta. Mi limiterò a riportare, in sintesi, cenni essenziali affinché se ne possa intuire il concetto e la sublimità. I testi poetici di Dunhuang, ad esempio, sono tanto arcaici da essere ancora oggi poco conosciuti, soprattutto in Occidente, per cui tutto rimane vago e provvisorio in questo campo. Mancando i procedimenti poetici abituali in altre tradizioni del mondo, cioè la rima o l’allitterazione, sono il ritmo e la struttura a conferire a questi testi la loro bellezza. La lingua tibetana si serve, in versi e in prosa poetica, di sillabe raddoppiate o di sillabe prive di significato lessicale ma è impiegata (un pò come onomatopee non finalizzate, però, a riprodurre un suono) per descrivere situazioni o aspetti particolari. Questa forma di espressione, in Tibet, si è conservata fino ai giorni nostri nell’epica e nei rituali destinati a divinità minori. Essa implica, ogni volta, una situazione emotiva o drammatica, ed è caratterizzata da un ritmo affannoso. E’ veramente una forma trascinante di espressione poetica la quale contempla una data espressione per situazioni…

L’anarchia in poesia

Generalmente l’anarchia è sinonimo di rivoluzione. Di confusione. Di rivolta. Di caos. E politicamente, ma anche socialmente, è sinonimo di uno Stato senza leggi, senza regole, senza moderazione dove tutto è contro tutti e tutti sono contro tutto; la vita civile, la civiltà stessa, talvolta, risultano compromesse, mutilate o addirittura inesistenti. Nessuno rispetta più nessuno. Nessuno segue più una norma o una tradizione, una consuetudine o un modus vivendi e operandi. Non esiste più un’autorità di alcun tipo e nemmeno un qualche punto di riferimento intorno al quale orientarsi per gettare le basi di un qualcosa di realizzabile e per costruire un qualcosa di reale e di possibile per la comunità umana in sé. Il passato è obliato o volutamente rimosso da un inconscio collettivo oscuro e, allo stesso tempo, indefinibile; il futuro è un’ombra vaga senza fattezza alcuna fra oceani di nebbia immersi nella sfera autunnale, prigioniero in un blocco di ghiaccio secco la cui temperatura va alla deriva verso lo Zero Assoluto (- 273° K); il presente sembra quasi dilazionato all’infinito: non ha un inizio e non ha una fine, può rendersi manifesto in attimi inquieti e feroci come in secoli apatici e inflessibili concentrati in giorni vacui…

Il canto sublime e misterioso della natura

Il deserto del Sahara, il più grande deserto della Terra. Di giorno il sole arroventa la sabbia gialla e i ciottoli, il vento disfa e modella dune fugaci come gocce di pioggia, vaste come oceani surreali dimenticati in qualche angolo remoto della memoria. Di notte l’enorme distesa sembra giacere supina come per accogliere il riposo dei nomadi stanchi, delle loro carovane solerti e brulicanti di vita mentre il cielo stellato si adagia parallelo alla terra con la sua immensità quasi inverosimile che avvolge l’uomo, gli animali, le voci, i sospiri, gli echi perduti … Le tribù beduine si raccolgono intorno ai fuochi per disperdere il freddo notturno. Raccontano storie, avventure, fatti di una quotidianità mai scontata e banale ma piuttosto scandita quasi dall’imprevedibilità, dalla lotta, dal rischio. Soprattutto recitano versi composti nell’ispirazione immediata, che sopraggiunge sempre, o che rammemora un mitico passato perso nei giorni senza storia della creazione del mondo. I Tuareg, ad esempio, avvolti negli abiti tradizionali color blu, elargiscono orgogliosi il dono del loro poetare nella lingua madre, il Tamashequ, la cui dolce cadenza e la tonalità lieve hanno radici sicure nel primitivo e misterioso mondo matriarcale. La loro antenata, la Madre Primordiale, era una regina giunta…

I versi di una poesia continua e infinita

L’Australia è un continente lontano e forse ancora misterioso e sconosciuto. Le tribù di aborigeni, i nativi di quella terra, sono ormai ridotti in sparuti gruppi concentrati per lo più nelle zone molto interne del continente. Anch’essi, da tempo, conoscono il progresso e gli stili di vita prettamente occidentali. Ne sono anch’essi assuefatti, e sono immersi nel senso dell’effimero e del nulla banale che, di conseguenza, quelli producono e diffondono a livello planetario. Pur tuttavia e nonostante ciò queste poche tribù aborigene ancora “genuine” e naturali conservano, quasi intatte, le loro tradizioni ataviche. Colpisce, soprattutto, la loro concezione nei riguardi del canto, della poesia in rapporto all’esistente tutto. Curioso e un tantino incredibile, per loro ogni cosa è canto. Ogni cosa è poesia. Dal vento alle stelle, dalla luna al sole, dalla pioggia al fuoco, dal caldo al freddo, dalla caccia alla danza rituale, dal pasto in comune al filo d’erba, dall’albero alla roccia, dal nascere al morire, dal crescere e diventare adulti al matrimonio e al generare prole, dall’alternarsi delle stagioni al salto del canguro e all’arrampicarsi del koala sugli alti rami dell’eucalipto. L’aborigeno australiano parla alla natura intera e ad ogni cosa che esiste sulla terra in versi,…

Due parole soltanto: grazie Franco, grazie maestro Battiato

Era l’anno 1978 forse, o giù di lì, quando ho ascoltato, per la prima volta alla radio, insieme ad un bambino di quattro o cinque anni, “L’era del cinghiale bianco” canzone splendida e riuscitissima di Franco Battiato, che non avrei mai più smesso di ascoltare e di amare. Era poi l’anno 1982 quando ascoltai, forse per la prima volta o forse per la seconda in quanto l’album era uscito alla fine del 1981, “La voce del padrone” di Franco Battiato; album che salì subito in vetta alle classifiche musicali italiane e vendette un milione di copie, ancora primo e unico caso in Italia. Da allora in poi i successi di Franco Battiato non si contano più. Canzoni quali “Bandiera bianca”, “Cuccurucucù”, “Sentimiento nuevo”, “L’esodo”, “Veni l’autunnu”, “Giubbe Rosse” e molte moltissime altre credo siano entrate a far parte dell’immaginario collettivo italiano dalla fine degli anni Settanta fino ad oggi. Franco Battiato, il maestro, il grande siciliano, è morto oggi, 18 maggio 2021, nella sua casa di Milo alle pendici dell’Etna; aveva compiuto settantasei anni il 23 marzo scorso. Da buon catanese, in primis, e da buon siciliano non poteva che ritornare alla sua terra d’origine, alle sue radici più autentiche…

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