(…) Era ne l’ora che nel primo riposo hanno i mortali quel ch’è dal cielo e i loro affanni infuso opportuno e dolcissimo ristoro: quand’ecco in sogno (quasi avanti gli occhi mi fosse veramente) Ettor mi apparve dolente, lagrimoso, e quale il vidi già strascinato, sanguinoso e lordo il corpo tutto, e i piè forato e gonfio. Lasso me! quale e quanto era mutato da quell’Ettor che ritornò vestito de le spoglie d’Achille, e rilucente del foco, ond’arse il gran navile argolico! Squallida avea la barba, orrido il crine e rappreso il sangue; il petto lacero di quante unqua ferite al patrio muro ebbe d’intorno. E mi parea che il primo foss’io che lagrimando gli dicessi: << O splendor di Dardania, o dè Troiani securissima speme, e quale indugio t’ha fin qui trattenuto? Ond’or ne vieni tanto da noi bramato? Ahi, dopo quanta strage dei tuoi, dopo quanti travagli de la nostra città già stanchi e domi ti riveggiamo! e qual fiero accidente fa sì deforme il tuo volto sereno? e che piaghe son queste? >> Egli a ciò nulla rispose, come a vani miei quesiti: ma dal profondo petto alti sospiri traendo: << Oh! fuggi, Enea, fuggi, mi disse,…