“Perché per noi lottare sarà sempre sognare e non sarà mai condannare.” Ultimo Prendo spunto da queste parole, dall’alto valore simbolico, per tentare una riflessione su un ideale, una scelta di vita, un essere e un sentirsi realizzati, un modo di rapportarsi alla società, un misurarsi con se stesso e con l’altro. Chi le ha pronunciate è un uomo certamente fuori dal comune, un uomo che mi piace definire “idealista spietato” come il protagonista del mio romanzo più recente non ancora andato in stampa. Quest’uomo, per motivi di sicurezza, è costretto a nascondere la propria identità da più di quindici anni. Si tratta del capitano Ultimo, l’ufficiale dei carabinieri a capo della Squadra Speciale che il 15 gennaio 1993 ha arrestato il boss mafioso Totò Riina. Da allora in poi, il capitano Sergio De Caprio ha indossato un guanto nero senza dita (come chi lavora e non ha diritti e voce) alla mano sinistra e ha scelto di chiamarsi Ultimo (nome di battaglia usato durante le operazioni più rischiose e importanti). Ultimo con gli ultimi e fra gli ultimi, per stare dalla parte del popolo, della povera gente, di chi non può lottare per avere giustizia perché non ha mezzi,…